Lo studio dell’Istituto dei Tumori di Milano, guidato dal professor Mazzaferro ha evidenziato che il 76,8% dei pazienti epatici, a cinque anni dall’intervento, è libero da tumore e recidive, mentre solo il 18,3% di chi ha continuato con le cure convenzionali è sopravvissuto
Importante passo avanti della scienza nella battaglia contro il tumore epatico. Una speranza arriva dal trapianto di fegato come confermano i dati di uno studio realizzato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Oncology. Al lavoro hanno preso parte 74 pazienti tra i 18 e i 65 anni di età con carcinoma epatocellulare, senza metastasi, sottoposti a varie terapie per ridurre le dimensioni del tumore. I malati sono stati suddivisi in due gruppi, il primo è stato sottoposto al trapianto di fegato e il secondo ha continuato ad essere seguito con le altre terapie non chirurgiche disponibili. I risultati avuti hanno dato chiare indicazioni: il 76,8% dei pazienti sottoposto a trapianto è risultato essere, a cinque anni dall’intervento, libero dal tumore e da ogni recidiva, mentre solo il 18,3% di chi ha fatto le terapie convenzionali (chemioterapia, radio, ablazione etc) è sopravvissuto.
«Si tratta del primo studio randomizzato che utilizza il trapianto di fegato come cura sperimentale da testare. – spiega il professor Vincenzo Mazzaferro, direttore della Struttura Complessa di Chirurgia generale a indirizzo oncologico 1 (Epato-gastro-pancreatico e Trapianto di Fegato), ideatore e coordinatore della ricerca -. Lo studio nasce nove anni fa sulla scia di un intenso dibattito sull’opportunità o meno di destinare un organo ad un paziente oncologico. Ne è scaturita una questione etica che è stata messa a tacere con i risultati. È vero che sulla carta le probabilità di sopravvivenza senza un trapianto per chi ha un tumore epatocellulare è un po’ più alta nel medio termine rispetto ad un soggetto con malattie terminali non-tumorali del fegato, come cirrosi o insufficienza epatica cronica, ma è altrettanto vero, e qui i numeri hanno messo tutti a tacere, che il trapianto nei pazienti con tumore epatocellulare è risolutivo in moltissimi casi».
Stabilito che il trapianto può essere un prezioso alleato della medicina nel trattamento del tumore del fegato, è importante capire fino a che punto è possibile azzardare questo tipo di intervento. Il professor Mazzaferro non ha dubbi al riguardo: «Il percorso intrapreso, lungo e faticoso, ha visto la partecipazione di nove grandi ospedali italiani, dove ci sono centri di eccellenza nelle cure epatiche. Ne è emerso un iter chiaro che diventerà il nuovo standard. Il paziente verrà sottoposto a cure tradizionali per il tumore epatico e poi, se tali cure saranno sufficientemente efficaci potrà entrare in lista per il trapianto. Il cambio di passo sta proprio qui. Prima si facevano le cure tradizionali osservandone l’esito non sempre brillante, oggi alla terapia farmacologica e loco-regionale è possibile aggiungere il trapianto. Mentre in passato la scelta del trapianto era considerata un’ultima spiaggia, oggi è una opportunità che si offre al paziente, faticosa ma risolutiva».
«Per questa ragione è fondamentale affidarsi ad un centro di eccellenza – ammette il coordinatore dello studio – per evitare di bruciare delle opportunità in centri con poca esperienza e mettere a repentaglio il buon esito finale perché, come dimostrato dallo studio, i tre quarti dei pazienti trapiantati guariscono definitivamente e hanno una eccellente qualità della vita».
Gli ospedali a partecipare sono stati: l’Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS di Milano con il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Milano, l’Ospedale Cà Granda di Niguarda con l’Università Bicocca, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la Città della Salute e della Scienza e l’Università di Torino, l’Ospedale Maggiore Policlinico IRCCS di Milano, l’Ospedale e l’Università Politecnica di Ancona, l’Università Tor Vergata e la Sapienza di Roma, l’ISMETT di Palermo.
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