Una persona che fa sport ha meno possibilità di prendere una forma grave di Covid? Intervista al presidente della Società italiana della medicina dello sport e dell’esercizio
«L’assenza di un atleta del livello di Djokovic da un torneo di tennis presuppone una diminuzione degli incassi e dell’interesse del torneo. Le regole ci sono e dovrebbero valere per tutti ma come sappiamo nello sport bisogna sempre trovare un equilibrio tra le esigenze d’immagine e quelle della salute». Il presidente della Società italiana della medicina dello sport e dell’esercizio (Simse), Deodato Assanelli, commenta così la notizia che il campione serbo, non vaccinato contro il Covid-19, parteciperà comunque agli Australian Open (che prevedono obbligo vaccinale per gli atleti che ne prenderanno parte) grazie ad una esenzione medica. Gli organizzatori del torneo assicurano che tale esenzione è stata garantita dopo «un rigoroso percorso di verifica che ha coinvolto due gruppi separati di medici indipendenti, chiamati a valutare se le richieste di esenzione fossero compatibili con le linee guida dell’Australian Technical Advisory Group on Immunisation (ATAGI)». Fatto sta che la notizia ha fatto scalpore in tutto il mondo e indignare un bel po’ di gente.
Il presidente Assanelli non si esprime ovviamente nel merito (anche se si tratta di «un pericoloso precedente»), ma auspica che Djokovic si sottoponga «a tampone molecolare» oppure «ad un tampone rapido al giorno almeno per tre-quattro giorni», e che ovviamente l’organizzazione del torneo gestisca al meglio la sua presenza, aiutata dal fatto che «il tennis è uno sport in cui non c’è il contatto fisico». Insomma, «non è mica una partita di calcio?». Ma il problema di far andare avanti la macchina sportiva, con tutti gli interessi e i guadagni che questa comporta, non riguarda solo gli Australian Open, visto che la Coppa d’Africa di calcio non è stata rinviata, come auspicato da molti, per evitare un ulteriore aumento della diffusione della variante Omicron che sta mettendo in ginocchio il mondo. Anche qui, lo show deve andare avanti.
Questi episodi, in cui il rapporto tra Covid-19 e sport è così stretto, fanno interrogare su come la pandemia abbia influenzato proprio l’attività sportiva, sia professionistica che amatoriale. E difatti, secondo Assanelli, il Covid ha letteralmente «rivoluzionato il modo di fare attività fisica o sportiva». Per quanto riguarda i professionisti, «esistono dati in letteratura abbastanza solidi, secondo i quali circa il 10% del totale ha problemi psicologici, se non psichiatrici». Ciò avviene perché lo sportivo professionista si è «ritrovato per un anno e mezzo a non poter più fare, o a farlo male, quello che faceva di mestiere». Fare sport di squadra, ad esempio, non si poteva, e per un professionista che nella vita fa sostanzialmente questo «è frustrante e limitante».
Quando poi c’è stata la ripresa delle attività, secondo Assanelli «non è un caso che nelle competizioni sportive che ci sono state dopo la ripartenza abbiano visto vincitori principalmente i giovani: il motivo è che uno sportivo, mettiamo, di 35 anni, anche se molto capace, ha tempi di recupero molto più lunghi di uno sportivo che di anni ne ha 20. Siccome sono ripartiti tutti dallo stesso punto, il tempo tra la ripresa delle attività e le gare è stato uguale per tutti e i giovani sono partiti senza dubbio avvantaggiati».
Ormai ogni giorno si allunga, e non di poco, la lista di sportivi anche molto affermati che risultano positivi al Covid-19. Praticamente tutti, però, si riprendono piuttosto bene nel giro di qualche settimana. È anche grazie alle loro condizioni fisiche? «Non esistono regole generali – risponde Assanelli –: il Covid-19 porta a manifestazioni molto eterogenee. Tutto dipende da come e quanto colpisce il soggetto. C’è poi la sindrome del long-Covid, di cui ancora si conosce poco. È però vero che molti soggetti che hanno avuto il Covid non riescono a fare diverse cose che facevano prima».
«Secondo uno studio che si sta portando avanti a Brescia, di chi è stato in terapia intensiva intubato, ovvero chi è guarito dalla forma più grave di Covid-19, circa il 20-30% è diventato portatore di gravi limitazioni alla vita attiva che prima non aveva», prosegue. Parliamo dunque di persone “normali” che non riescono più a fare le cose che facevano prima del contagio e della malattia. E questo vale sia «livello fisico o mentale». In aggiunta, «non si sa quando e se si riprenderanno. Anche perché, avendo tante manifestazioni diverse, il Covid può colpire e danneggiare a chi i reni, a chi il cuore, a chi i polmoni, causando insufficienza renale, miocarditi o insufficienza respiratoria. Ovviamente, tutto dipende dalla gravità della malattia. In caso di infezione asintomatica, per dire, questi problemi potrebbero, quasi sempre, non presentarsi. Sembra comunque dagli ultimi studi che dopo un tempo più o meno lungo una ripresa delle precedenti condizioni di salute ci sia, in molti casi».
Ma una persona che si tiene in forma, che fa attività sportiva con regolarità e conduce una vita salutare, corre meno rischi in caso di infezione da Sars-CoV-2 rispetto ad una che non lo fa? «Senza dubbio – risponde Assanelli –, un soggetto che sta meglio fisicamente ha più riserva funzionale». Ciò vuol dire che prima di buttarlo giù ce ne vuole. «Chi invece ha una qualche forma di invecchiamento, di danneggiamento graduale degli organi e degli apparati da malattie croniche preesistenti, è meno resistente. Per fare un esempio, una persona di 80 anni che non fa alcun tipo di attività viene considerata, molto spesso, un soggetto fragile. Un suo coetaneo che si tiene in forma è sicuramente più protetto, in quanto ha una capacità funzionale più elevata. C’è anche da dire che se una persona non fa attività fisica non mantiene un livello di salute costante ma va sempre peggiorando quanto più dura la sua sedentarietà. Non resta mai fermo: con il tempo e la sedentarietà le sue condizioni diventano sempre più negative, e se è anziano già in qualche mese. Insomma – conclude il presidente Simse –, la forbice tra chi si allena e chi non fa attività fisica si allarga sempre di più. E’ preferibile fare poca attività fisica per molto tempo che restare completamente fermi, e mantenersi attivi durante i periodi obbligati di lockdown aiuta quando c’è la ripresa a tornare prima e meglio alla normalità».
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