Il medico ospite del ciclo di eventi #nonsolomedicina promosso dalla Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Azienda Ospedaliera Federico II di Napoli. «Con le dovute proporzioni, oggi in Italia c’è fuga dei cervelli come nell’Iran degli anni ‘70»
Persia, fine anni ’70. Bahman Noubari è un adolescente, nato e cresciuto in una famiglia modesta. E con la sua famiglia assiste agli stravolgimenti politici e sociali che animano il suo Paese: le spinte fondamentaliste per destituire la dittatura laica dello scià, la sua fuga e lo scoppio della rivoluzione islamica che segna l’ascesa al potere dell’Ayatollah Khomeini. Il padre di Bahman è preoccupato e lo manda, appena diciottenne, in Italia, dove egli stesso aveva vissuto per un periodo. Qui, a Catania, il giovane Bahman non parla la lingua e si mantiene lavando le scale dei palazzi. Oggi Bahman Noubari è un affermato neurochirurgo presso l’Ospedale Careggi di Firenze.
Tutto quello che è successo nel mezzo ce lo ha raccontato lui, durante l’incontro organizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non Solo Medicina” della Scuola di Medicina Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli. «Il percorso che mi ha portato a studiare, laurearmi e specializzarmi in Italia non è certo stato privo di ostacoli. Alle quattro del mattino andavo a lavorare, poi tornavo a casa, mi lavavo rovesciandomi addosso una pentola d’acqua e dopo correvo in facoltà. Desideravo fare il medico per aiutare il prossimo». Il dottor Bahman Noubari ha sottolineato, in accordo con gli altri ospiti presenti tra cui il presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’ateneo federiciano Luigi Califano, l’assoluta importanza di mettere in campo il cuore e la propria etica nella professione di medico. Il progresso tecnologico e le scoperte scientifiche, infatti, varrebbero ben poco se non coniugate con l’umanizzazione delle cure, l’ascolto empatico, la dedizione verso il prossimo inteso non solo come paziente ma come essere umano.
Un impegno, quello verso il prossimo, che per Noubari non si esaurisce nel lavoro. Il neurochirurgo iraniano, infatti, nei suoi giorni liberi si dedica alla cura dei cosiddetti “invisibili” della sua città, gli ultimi, i meno fortunati: i senzatetto di Firenze. «La mia dedizione verso gli altri nasce proprio dalle mie origini e dalle mie sofferenze. La prima volta che arrivai a Firenze era l’alba, e non avevo un posto dove dormire. Mi coricai su dei cartoni alla stazione di Santa Maria Novella. Dopo qualche ora un poliziotto con un calcio mi intimò di andarmene. Quell’episodio ha segnato il mio appuntamento con il destino. Oggi, ogni sabato inforco la mia bicicletta e porto da mangiare ai senzatetto e offro, per chi lo vuole, cure mediche, o un sostegno economico nello studio. In ognuno di loro non vedo una razza, o una dipendenza (ad esempio dall’alcool o dalla droga), nè mi interessa la storia che li ha portati fin lì: vedo solo un essere umano che ha bisogno di aiuto».
Il dottor Noubari ha dichiarato di non avere alcuna associazione politica o religiosa alle spalle, e di aver inoltre rinunciato ad esercitare l’attività privata e in intramoenia. «Per fortuna a Firenze vedo tanti giovani specializzandi, provenienti da ogni luogo d’Italia, attenti alle tematiche umane molto più rispetto al passato. È vero, oggi assistiamo a una fuga di cervelli dall’Italia che, seppur con le dovute proporzioni, mi ricorda quella dei miei coetanei in fuga dall’Iran negli anni Settanta. Eppure qui in Italia non ci sono guerre, non si soffre la fame. Questo è il Paese che mi ha dato un’opportunità, e vorrei che i nostri giovani capissero l’importanza di restare qui per migliorare le cose e dare una mano a costruire un Paese ancora migliore».