D’Amato (Assessore Salute Lazio): «Implementare sinergie sul territorio tra enti sanitari e sociali. Nessuno venga escluso dal diritto alla salute»
Sono gli ultimi, gli invisibili, sono quelli che chiamano casa un edificio occupato, e per i quali la vita è “la strada”. A livello assistenziale, sanitario, sociale e giuridico, si tratta dei soggetti più difficili da intercettare nelle istanze e nei bisogni in quanto non incardinati in un tessuto sociale ma, soprattutto, spesso restii a farvi parte. Si tratta quasi sempre di immigrati fuoriusciti dal circuito dell’accoglienza o che hanno difficoltà ad entrarvi. E sono loro, o meglio la necessità di integrare i processi di presa in carico assistenziale volta all’inclusione nei loro confronti, protagonista della Tavola Rotonda organizzata dalla Onlus “Sanità di Frontiera” intitolata “Dalla bassa soglia alla presa in carico integrata attraverso il lavoro di rete” tenutasi oggi in modalità ibrida in presenza e online.
Alla presenza dell’Assessore alla Sanità e integrazione Socio-Sanitaria della Regione Lazio, Alessio D’Amato, e dei principali referenti territoriali in ambito sociosanitario, l’incontro di oggi ha segnato in primis l’occasione per presentare una importante iniziativa portata avanti da Sanità di Frontiera insieme alla cooperativa sociale Civico Zero in materia di inclusione: il progetto Polo PSI.
«Si tratta di un progetto lanciato da oltre un anno che permette di evidenziare le criticità emergenti e di attrarre i ragazzi con più difficoltà, con il quale abbiamo attivato accompagnamenti verso servizi sociali e giuridici – spiega Rodolfo Mesaroli, Direttore Scientifico Civico Zero. – Abbiamo raccolto istanze e richieste di giovani adulti fino a quel momento fuori target rispetto a minori e neomaggiorenni con cui ci eravamo sempre interfacciati. Questo ci ha spinto a rimodulare una risposta su misura per loro, che si trovano in una zona grigia perché non ottengono né la tutela riservata ai minori né quelle riservate ad età più avanzate. Sono giovani adulti in salute che tendenzialmente potrebbero cavarsela da soli – osserva Mesaroli – ma spesso sono reduci da percorsi di accoglienza e integrazione fallimentari, che deflagrano per aspetti temporali e procedurali. Questo genera frustrazione e impotenza, e aumenta il rischio di cronicizzazione della marginalità, si tratta di un limbo in cui si oscilla tra delusione, disillusione, irregolarità, spesso una sensazione di onnipotenza data dall’invisibilità che è prodromica alla criminalità».
«Quello che facciamo – sottolinea Roberta Baldi, Coordinatrice Polo PSI (Sanità di Frontiera) – è intercettare una domanda nascosta attraverso una attività di outreach, cercando ragazzi che non sanno orientarsi e che non sono nelle condizioni di trovare le istituzioni che risponderebbero ai loro bisogni. Allora andiamo noi da loro. La richiesta più frequente è quella di essere seguiti anche legalmente, mentre la sfida più difficile è trovargli una alternativa alla strada, perché paradossalmente la strada offre loro un senso di identità. Per questo – aggiunge Baldi -abbiamo instaurato importanti collaborazioni con enti sanitari e sociali sul territorio».
«Questi ultimi due anni ci hanno messo di fronte al fatto che siamo tutti sulla stessa barca e che dobbiamo implementare le possibilità l’accesso alle cure per tutti per migliorare salute di tutti – interviene l’Assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato. – A cominciare dalle vaccinazioni, perché la salute non guarda al permesso di soggiorno; nella nostra Carta costituzionale la salute è legata all’individuo in quanto tale non alla sua cittadinanza. È fondamentale stabilire elementi di connessione tra sanità e territorio fondamentali per debellare rischi di istituzionalizzazione di problematiche sociali che si trasformano in problemi di salute. Così come è necessario – continua D’Amato – evitare separazione tra inclusi ed esclusi, perché il rischio della pandemia è questo: arroccarsi in una sorta di cittadella medievale dove chi è all’interno gode di privilegi e chi è esterno preme per entrare. Combattiamo, in sintesi, la disomogeneità della presa in carico, con una maggiore attenzione anche disagio mentale, sempre più presente dopo due anni di pandemia».
Presso la Asl Roma 2 la strategia è quella di «portare avanti un’azione di tutela della salute degli immigrati facendo rete sul territorio con le associazioni per cercare di mettere a sistema una serie di attività svolte. Un lavoro basato soprattutto sull’intercettazione del bisogno e sulla creazione e riorganizzazione di alcuni servizi per renderli sempre più accessibili e a bassa soglia: dalle vaccinazioni nei centri di accoglienza, alle unità in strada per intercettare i senza fissa dimora, o recandoci all’interno dei palazzi occupati, con un occhio di riguardo al “dopo” successivo alla presa in carico sanitaria, per una sistemazione abitativa, in una sorta di follow up sociale». «La resistenza – sottolinea Daniele Coluzzi, psicologo della Asl Roma 2 – è data dalle persone ai margini che hanno poca fiducia nelle istituzioni e senso di appartenenza alla strada, ecco perché le collaborazioni con enti terzo settore sono essenziali per alcuni servizi, tra cui le vaccinazioni per ottenere il Green pass».
Sulla stessa linea la Asl Roma 1, attiva con il progetto SAMIFO per l’assistenza e presa in carico sanitaria dei migranti attraverso una collaborazione tra medici e operatori sanitari del servizio pubblico e operatori e mediatori del privato sociale. «Sarà fondamentale – conclude Filippo Gnolfo, Unità Salute Migranti Asl Roma superare la dicotomia tra sociale e sanitario e integrare maggiormente i due ambiti della presa in carico».
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