Allo sforzo regolatore si accompagna l’inconsapevole cessione dei dati da parte dei cittadini ai grandi player internazionali: «Bisogna far capire l’importanza di questi temi». Così il professore dell’università romana a margine di “Big Data in Health”
«I dati sanitari sono i più appetibili per i cyber criminali. Sul dark web, sono quelli che vengono venduti a prezzo più elevato. E non è quindi una coincidenza che il furto di questi dati nell’ultimo anno sia aumentato del 99%». Sono i dati presentati ai nostri microfoni dal professor Roberto Setola dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, intervenuto alla seconda giornata del convegno “Big Data in Health“, ospitato dal CNR e di cui Sanità Informazione è media partner.
«Il problema – prosegue Setola – è che i dati sanitari non sono ben protetti. Il passaggio dalla carta al digitale negli ospedali e nelle strutture sanitarie non è stato accompagnato da un cambiamento culturale degli operatori della sanità, esponendo i dati ad un alto rischio di perdita, furto o alterazione. Per questo, insieme a Confindustria digitale, abbiamo istituito un tavolo di lavoro per redigere delle linee guida che aiutino gli operatori sanitari a mettere in atto specifiche strategie di mitigazione».
Ma accanto ai dati sanitari rubati, ci sono quelli forniti dai cittadini, non sempre in modo del tutto consapevole, ai grandi player internazionali come Google o Amazon: «Fornendo servizi interessanti, questi colossi acquisiscono dati e informazioni senza che l’utente finale ne abbia ben contezza», commenta il professore.
Un fenomeno che mal si accompagna allo sforzo regolatore che tende a tutelare i nostri dati e la nostra privacy: «Ci sono una serie di vincoli e di normative, alcune forse più tediose che efficaci – continua Setola -, che cercano di proteggere i dati, ma che ne rendono anche più difficile la condivisione. Eppure la condivisione del dato tra il cittadino e i soggetti deputati alla sua gestione quando serve e dove serve è molto importante. Basti pensare agli studi statistici sulle malattie, che sfruttano in maniera aggregata le conoscenze acquisite sul singolo paziente».
«Bisogna quindi da un lato creare un meccanismo per bilanciare la riservatezza del dato con la semplicità di fruizione, e dall’altro – conclude il professor Setola – farne comprendere al cittadino l’importanza».