Il Presidente e fondatore del Centro Studi Investimenti Sociali spiega l’aumento della spesa sanitaria privata: «Il privato, pur in un momento di crisi, una buona parte dei suoi soldi li investe sulla sua salute e questo è un segno ulteriore di sanità mentale». Poi sottolinea: «Alcuni bisogni che noi pensavamo non monetabili e quindi da garantire con l’intervento pubblico, sono passati al livello di mercato»
La spesa sanitaria privata ha raggiunto il livello record di 40 miliardi e gli italiani si indebitano sempre di più per curarsi. Dati che emergono dal rapporto Censis – Rbm e che impongono una riflessione seria da parte di politici, studiosi e addetti al mestiere, anche per capire come organizzare il Servizio sanitario che proprio quest’anno compie 40 anni. «Gli italiani hanno reagito alla crisi con grande sobrietà recuperando lo ‘scheletro’ contadino – spiega a Sanità Informazione Giuseppe De Rita, fondatore e presidente del Censis – Dal 2010 ad oggi la spesa pubblica è aumentata dello 0,6%, mentre quella privata del 4% il che significa che il privato, pur in un momento di crisi, pur avendo pochi soldi, investe buona parte di quei soldi sulla sanità, sul proprio corpo, sulla sua salute. Segno di una sanità mentale che abbiamo riscoperto».
Il Rapporto dice che la spesa sanitaria privata degli italiani aumenta e ci dice anche che gli italiani sono costretti ad indebitarsi per pagare le cure. Questo afferisce al tema della diseguaglianza che dopo la crisi economica continua ad aumentare nel nostro Paese, soprattutto al sud. Quanto la crisi economica ha cambiato la vita degli italiani anche da un punto di vista sociologico?
«Non è mai stato studiato abbastanza il rapporto tra gli italiani e la crisi economica negli anni dal 2010 ad oggi. Noi abbiamo avuto una crisi orribile a cui abbiamo reagito con una sobrietà individuale incredibile. Nel rapporto Censis scrivevamo che abbiamo reagito con lo scheletro contadino, cioè recuperando virtù di tipo contadino: arbitraggio, scarso consumo, scarsa voglia di andare a farfalle. Abbiamo rifatto uno scheletro di sobrietà. Ce ne siamo accorti? Probabilmente non tutti se ne sono accorti però la crisi è stata superata da questa capacità dell’italiano medio di ritornare sobrio con un controllo dei consumi che sembrava invece difficile. Che succede da un punto di vista sanitario? Il discorso della sobrietà in qualche modo si riversa anche su questo nel senso che l’atteggiamento verso il proprio corpo, verso la propria salute, diventa prioritario, non lo lasciamo andare. Possiamo lasciare andare un consumo generico, uno sfizio, ma il consumo sanitario invece è aumentato. Se lei vede il dato fino al 2010, il consumo privato di sanità era minore dell’aumento del consumo pubblico. Dal 2010 ad oggi la spesa pubblica è aumentata dello 0,6%, mentre quella privata del 4% il che significa che il privato, pur in un momento di crisi, una buona parte dei suoi soldi li investe sulla sanità, sul proprio corpo, sulla sua salute, sulla propria macchina di vita e questo è un segno ulteriore di una sanità mentale, contadina dico io, che in qualche modo abbiamo riscoperto in un periodo di crisi, non l’avevamo capita prima.
Il fatto che gli italiani debbano pagare di tasca propria le cure sanitarie ci riporta un po’ indietro nel tempo. Nel 1978 è nato il Sistema sanitario che ha una vocazione universalistica, che ora sembra non bastare più…
«Quando nel 1973-1974 scrivevamo il rapporto Saraceno e la nota aggiuntiva La Malfa da cui è nato anche tre-quattro anni dopo il Servizio Sanitario noi pensavamo in maniera stretta che il Sistema sanitario dovesse essere un sistema di qualità ma per bisogni non monetabili. Poi invece è diventato qualcosa di più in cui tutti dovevano avere tutto di tutto. C’era persino gente che salava l’acqua a casa con le pasticche di alcuni medicinali. C’è stato uno sfruttamento di questo servizio universale che è rimasto un fatto di civiltà indiscutibile. Da certe nostre ricerche su extracomunitari e sanità italiana si nota che gli extracomunitari sono dei grandi ammiratori del nostro Ssn, perché sanno che accedono al servizio, hanno un’ottima accoglienza. Il nostro Servizio Sanitario ha il minimale sicuro, il Pronto soccorso, il ricovero, il medico di base, dunque in questo senso funziona. Non funziona per qualcosa di più. Se io voglio una tac entro domani mattina mi dicono: mettiti in lista. Allora mi lamento della lista, però poi pago e me la faccio privatamente. C’è questo processo, alcuni bisogni che noi pensavamo non monetabili e quindi da garantire con l’intervento pubblico, sono passati al livello di mercato, un livello di decisione personale e non di categoria da proteggere».
In questo senso le mutue integrative sono fondamentali?
«Certo, in questo caso noi abbiamo un sistema in cui diventano fondamentali esperienze che una volta erano marginali. Pensiamo alla polizza sanitaria: nella mia vita, quando ero giovane, polizze sanitarie non ci pensavo neppure. Avevo i bollini del Servizio sanitario ed ero sicuro. Mia moglie faceva un figlio, si andava in Ospedale. Non c’erano problemi. Oggi con un meccanismo di crescita dell’aspettativa il Sistema sanitario non può provvedere a tutto e quindi c’è un problema di diseguaglianze che è da una parte strutturale in termini di mercato: è una società in cui ognuno cerca di provvedere al suo, e questo crea ineguaglianza. Dall’altra parte strutturale in termini organizzativi perché tutto sommato alcuni servizi sono decaduti nel tempo ed è inutile andarli a ripescare come se dovessero essere sostanzialmente validi per tutto. Io capisco bene che se a me serve una tac o una risonanza magnetica, tutto sommato non dico che mi vado ad impegnare l’appartamento, ma se riesco pago di proprio. Perché la qualità dell’operatore, la rapidità dell’operatore, la vicinanza dell’operatore, l’amicizia per un determinato ambiente diventano più importanti del servizio stesso».