Meno del 50% di chi ne soffre riceve diagnosi tempestiva e trattamento corretto. Oltre un anno e mezzo tra comparsa dei primi sintomi e decisione di rivolgersi a un medico, circa due anni prima di ricevere una diagnosi corretta.
In Italia 3,5 milioni di persone combattono contro la depressione, in Europa si stima siano oltre 35 milioni. Una malattia riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come prima causa di disabilità a livello globale. Questi i numeri raccolti dalla Fondazione Onda nel documento “Depressione: sfida del secolo – Un impegno per contrastarla in attesa di un Piano nazionale”, presentati presso la Camera dei Deputati.
«La depressione è un tema imprescindibile quando si parla di salute e in particolare di salute della donna che ne è colpita in misura doppia rispetto all’uomo. Il nostro obiettivo è aumentare la consapevolezza della malattia presso la popolazione per superare lo stigma ancora così radicato e cercare di avvicinare i pazienti a diagnosi e cure appropriate», spiega Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere.
Si stima che solo 1 persona su 2 riceva diagnosi e cure adeguate, che passi più di un anno e mezzo tra comparsa dei primi sintomi e decisione di rivolgersi ad un medico e circa due anni per ricevere una diagnosi corretta. Per questo motivo è stato presentato anche il Manifesto in 10 punti “Uscire dall’ombra della depressione” come call to action collettiva per promuovere efficaci azioni di prevenzione mirata, un tempestivo e facilitato accesso ai percorsi di diagnosi e cura.
«La depressione maggiore è una malattia psichiatrica spesso non diagnosticata, non compresa nella sua gravità, spesso misconosciuta», commenta l’On. Rossana Boldi, vice Presidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati. «Compromette la vita lavorativa, sociale e affettiva di chi ne è affetto, e spesso, a causa dello stigma che ne consegue, rifiuta la diagnosi. Credo sia arrivato il momento che le Istituzioni si facciano carico in modo concreto del problema. Mi auguro che il manifesto diventi la base per proposte concrete per definire un Piano Nazionale per la depressione, mirato a stabilire percorsi certi per la prevenzione, la diagnosi e la cura di questa patologia.»
Il costo sociale della depressione maggiore è molto elevato e include i costi sanitari diretti che riguardano la diagnosi, il trattamento, la riabilitazione, l’assistenza e la prevenzione delle ricadute a lungo termine che pesano sul Servizio Sanitario Nazionale, per circa 5.000 euro l’anno per ogni paziente. Sono anche molto rilevanti i costi del non trattamento della depressione per i risvolti legati in particolare alla perdita di produttività che si stima essere pari a 4 miliardi di euro annui in termini di ore lavorative perse.
Tra i 10 punti del Manifesto emerge l’importanza di non sottovalutare i campanelli di allarme come gli stati transitori di tristezza e rivolgersi al proprio medico di fiducia o allo specialista quando questi perdurano a lungo; ridurre i tempi della diagnosi; favorire l’aderenza terapeutica coinvolgendo familiari e caregiver nel percorso di cura; ridurre lo stigma che aleggia sulla malattia e che impedisce ai pazienti e a chi sta loro accanto di chiedere aiuto attraverso una corretta informazione e sensibilizzazione.
«Anche se gli italiani non sono i più depressi della UE, la media del nostro Paese è alta: il 5,5% della popolazione soffre di depressione maggiore con una netta prevalenza declinata al femminile», spiega Claudio Mencacci, Direttore DSMD – Neuroscienze ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano e Presidente SINPF, Società Italiana di Neuropsicofarmacologia. «Importante è riconoscerla nelle varie fasi della vita dove si nota un crescendo, dall’adolescenza (1,9%) all’età adulta (6,5%), fino al 13,1% negli over 65. È sempre più importante un precoce riconoscimento dei sintomi e l’applicazione di appropriati percorsi terapeutici».
«La ricerca farmacologica è mirata a rispondere agli attuali bisogni terapeutici insoddisfatti nella cura della depressione, soprattutto per quanto riguarda i sintomi cognitivi e residui in pazienti che non rispondono ai trattamenti farmacologici tradizionali», continua Giorgio Racagni, Presidente eletto SIF, Società Italiana di Farmacologia. «La perdita di plasticità dei neuroni di specifici neurotrasmettitori costituisce un fattore cruciale nella farmacologia e patologia di questa malattia, portando all’ipotesi neurotrofica della depressione. È su questo target che si basa il meccanismo d’azione dei nuovi farmaci glutammatergici che hanno recentemente dimostrato di portare ad una rapida risposta clinica».
«Le imprese del farmaco sono in prima linea per combattere la depressione con una quarantina di nuove molecole in sviluppo nel mondo, potenziali capostipiti di nuove classi terapeutiche», afferma Massimo Scaccabarozzi, Presidente Farmindustria. «Inoltre, tra i 1.600 studi clinici sulla depressione condotti oggi a livello internazionale anche grazie al contributo dell’industria farmaceutica, oltre 1.300 utilizzano approcci innovativi, quali tecnologie digitali, identificazione di nuovi target terapeutici e nuove vie di somministrazione».