In un’intervista a Sanità Informazione Chiara Azzari, responsabile del Centro di Immunologia Pediatrica dell’ospedale Meyer di Firenze chiarisce i benefici del vaccino anti-Covid per i bambini tra i 5 e gli 11 anni. L’esperta ai genitori: «Non vaccinateli per il bene della società, ma per tutelare la loro salute»
“Devo vaccinare mio figlio?”. Se lo sono chiesti, nei mesi scorsi, milioni di genitori di giovani ed adolescenti. Se lo domandano in queste ore le mamme ed i papà di bambini tra i 5 e gli 11 anni. Dal 16 dicembre, infatti, sarà disponibile il vaccino anti-Covid anche per i più piccoli. Per chiarire modalità di somministrazione, benefici, effetti collaterali ed eventuali interazioni con altri vaccini, abbiamo incontrato Chiara Azzari, responsabile del Centro di Immunologia Pediatrica dell’ospedale Meyer di Firenze, tra i relatori del convegno “La Scienza contro le malattie infettive”, patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Osservatorio Salute.
«Ai bambini tra i 5 e gli 11 anni sarà somministrato il vaccino mRna Pfizer-BioNTech, lo stesso utilizzato per la popolazione adulta. Sarà differente la quantità: ai bambini sarà inoculata un terzo della dose, in una formulazione specifica da 10 microgrammi. Anche per il numero di dosi non ci sarà differenza tra popolazione adulta e pediatrica: saranno due distanziate, secondo le indicazioni attuali, di 21 giorni».
«La distanza tra la prima e la seconda dose non deve essere necessariamente così rigida. Il sistema immunitario riconosce la seconda dose anche dopo cinque o sei settimane. Per questo, il motivo che spinge a scegliere un determinato intervallo potrà essere anche di tipo organizzativo, oltre che immunologico».
«La prima cosa che direi è che la vaccinazione per i bambini deve essere fatta per i bambini. Non per la società, per i nonni, per i compagni fragili. Certo è un vantaggio anche per chi vive attorno a loro. Ma il nostro primo obiettivo deve essere proteggere il nostro bambino».
«Mi piace ricordare i dati americani poiché, essendo un Paese più grande del nostro, l’America ha sempre a disposizione numeri più significativi di quelli italiani. Dall’inizio della pandemia, negli Stati Uniti, sono morti 94 bambini tra i 5 e gli 11 anni. Ad alcuni questo numero potrebbe sembrare non elevato rispetto alle drammatiche cifre emerse durante la pandemia. Ma, di certo, se fossero stati vaccinati nessuno di questi 94 bambini avrebbe perso la vita a causa del Covid-19. Il vaccino che abbiamo a disposizione, così come garantito da AIFA, EMA e FDA è un vaccino sicuro, senza effetti collaterali significativi».
«Certo. Lo vaccinerei per evitare quei rari casi di morte, quei rari casi di patologie infiammatorie gravi, di long Covid. Ma anche per permettergli di ritornare ad una vita normale, a frequentare le palestre, ad incontrare gli amici, a partecipare alle feste di compleanno. A praticare tutte quelle attività che hanno sempre fatto parte del quotidiano dei nostri piccoli e che ora tendiamo a vietare per non amplificare il rischio di contagio. La pandemia ha fatto emergere molti problemi di natura psicologica tra i bambini, molto di più di quanto ognuno di noi possa immaginare. E con l’aiuto del vaccino potremmo, pian piano, recuperare anche questi aspetti non secondari dell’esistenza umana».
«Si tratta di un vaccino cosiddetto “ucciso” che può essere somministrato non solo ai bambini fragili, ma anche a quelli fragilissimi. Questo perché un vaccino “ucciso” non può in alcun modo scatenare la malattia. Di conseguenza è difficile immaginare una precisa classe di bambini a cui non può essere somministrato. Si potrebbe pensare a coloro che hanno avuto una reazione allergica dopo la prima dose, ma anche in questo caso sarebbe possibile mettere in atto degli accorgimenti tali da garantire la somministrazione della seconda dose in sicurezza».
«Non ci sarebbe nessun motivo per separare le somministrazioni, perché un vaccino “ucciso”, come quello del Covid, può essere somministrato in concomitanza a qualunque altra tipologia di vaccinazione. Ed è questo ciò che sostengono anche le società scientifiche competenti, sia italiane che internazionali. Tuttavia, credo che distanziarli un po’, di circa una settimana, possa essere opportuno. Tale distanziamento permetterebbe di osservare la comparsa di eventuali effetti collaterali e di non attribuirli erroneamente all’uno o all’altro vaccino somministrato. Ma, ripeto, non c’è nessun motivo immunologico e nessuna interferenza che indichi la necessità di distanziamento».
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