Secondo recenti stime, ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto che minacciano il territorio nazionale, 38 mila siti a rischio e circa un miliardo di metri quadrati di coperture in eternit sui tetti di case, scuole e fabbriche. Per sostenere gli esposti all’asbesto l’ANMIL istituisce la Commissione Amianto
Tornavano a casa e, dopo un’estenuante giornata trascorsa in una fabbrica o in un cantiere, poggiavano la loro tuta da lavoro sulla spalliera di una sedia. Per molti operai è stato un gesto abitudinario e, soprattutto, inconsapevole: nessuno di loro poteva immaginare che quegli abiti professionali, abbandonati in tutta fretta, avrebbero messo in pericolo l’intera famiglia. E così hanno continuato a farlo, giorno dopo giorno. Almeno fin quando le evidenze scientifiche non hanno dimostrato quanto l’amianto fosse dannoso per la salute.
«Una fibra di asbesto è 1.300 volte più sottile di un capello umano – spiega Giuseppe D’Ercole dell’associazione Nuovi Lavori, da sempre in prima linea per la difesa dei diritti degli esposti all’amianto -. È invisibile ad occhio nudo, ma è in grado di depositarsi sui tessuti, di contaminare l’aria e i polmoni di chi la respira. Non solo quelli dei lavoratori, ma anche di mogli e figli che, vivendo al loro fianco, sono entrati in contatto con questo materiale killer». Non esiste, infatti, una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non è pericolosa: l’inalazione di una sola fibra può causare il mesotelioma e altre patologie mortali.
È a tutte le vittime dell’amianto, dirette ed indirette, emerse e sommerse, che l’ANMIL, l’Associazione fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, ha voluto dedicare la Giornata mondiale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro 2021 che si celebra, ogni anno, il 28 aprile.
«In particolare – dice Emidio Deandri, vice presidente nazionale ANMIL – al 29° anniversario della Legge 257/92 che ha sancito la messa al bando, in Italia, di tutti i prodotti e i materiali contenenti amianto, vietandone l’estrazione, l’importazione, la produzione e la commercializzazione. Una legge che ha prodotto buoni risultati, ma che non è stata sufficientemente supportata dalle diverse istituzioni in maniera continua ed omogenea su tutto il territorio nazionale».
L’ANMIL punta ad un salto di qualità: «È necessario – continua Deandri – mettere in campo tutte le misure di assistenza sanitaria e sociale necessarie a liberarci del rischio amianto entro il 2030. Per questo, la nostra Associazione ha deciso di istituire una Commissione Amianto che supporti le vittime durante la malattia. Sono ancora troppo pochi coloro che denunciano la loro condizione e non tutte le malattie professionali sono riconosciute come tali dall’Inail», continua Deandri.
Nel 2019, delle 2.234 patologie da asbesto denunciate, solo 1.468 (pari al 66%) sono state riconosciute dall’Inail. Tra queste ultime, 1.065 hanno comportato menomazioni permanenti, di grado più o meno elevato, e 401 la morte del lavoratore. Quasi il 70% dei decessi è stato causato da mesotelioma pleurico (278 casi) e il 25% da carcinoma polmonare (102 casi).
«Di amianto si muore e, soprattutto – aggiunge il vice presidente nazionale ANMIL – non si guarisce». Tra le patologie più gravi asbesto-correlate ci sono diverse forme tumorali: il mesotelioma pleurico è il più diffuso, una malattia, purtroppo, letale nella maggioranza dei casi. Fanno parte di questa famiglia di patologie pure il carcinoma polmonare e il mesotelioma peritoneale. Oltre alle neoplasie, tra le patologie asbesto-correlate, va annoverata anche l’asbestosi, una malattia che sembrava in lento e progressivo declino ma che, invece, ha ripreso a crescere nell’ultimo decennio (erano poco più di 500 casi nel 2011) con un picco di 790 casi nel 2019 (+14% sul 2015).
Secondo recenti stime del Cnr e di Ispesl ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto che minacciano tuttora il territorio nazionale, con 38 mila siti a rischio e un miliardo circa di metri quadrati di coperture in eternit che stazionano ancora sui tetti di case, scuole, fabbriche. Il 30% dei malati da asbesto si concentrano al Sud, il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,5% nel Nord-Est, il 14,0% nelle Isole e il 12,8% al Centro. Tra le attività lavorative più colpite: l’industria pesante – metallurgia, siderurgia, cantieristica – e il settore delle costruzioni e dei trasporti, in particolare quelli ferroviari.
«L’amianto è la prima causa di morte tra i lavoratori, per questo – spiega Giuseppe D’Ercole – l’Inail dovrebbe agire a 360° dalla prevenzione, alla bonifica, alla sorveglianza sanitaria, ai centri di cura specialistica, fino alla ricerca clinica per le terapie efficaci. Una migliore organizzazione Inail per i tumori asbesto-correlati determinerebbe anche una migliore organizzazione per la gestione di tutti gli altri tumori professionali che, oggi, sono indennizzati solo per il 6% dei casi. Per realizzare questi obiettivi l’Inail dovrebbe avere piena disponibilità delle proprie risorse generate dai premi versati dalle imprese e, quindi, cessare il trasferimento alle casse del Bilancio pubblico degli avanzi di gestione».
«Per la parte sanitaria, le attività dell’Inail dovrebbero essere coordinate con il ministero della Salute e con le Regioni. Per quella ambientale, invece – aggiunge D’Ercole – bisognerebbe accelerare le bonifiche, altrimenti la striscia delle vittime, inevitabilmente, si allungherà nel tempo. Seppure dovessimo svegliarci domani mattina liberi dall’amianto – il che sarebbe una vera e propria utopia – dovremmo attendere ancora diversi decenni affinché l’asbesto smetta di mietere vittime: ci sono patologie, come il mesotelioma – conclude – che possono dare i primi sintomi anche a distanza di 30-40 anni».
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