Salute 7 Ottobre 2024 10:19

Diabete di tipo 2, in crescita tra i bambini: “Picco tra i 13 e i 15 anni”

Il diabete di tipo 2 è aumentato in particolare nella fascia degli under 21: nell’8% dei casi interessa bambini di età inferiore ai 10 anni. I risultati dello studio

Diabete di tipo 2, in crescita tra i bambini: “Picco tra i 13 e i 15 anni”

Stili di vita scorretti, dalla troppa sedentarietà al consumo eccessivo di cibi spazzatura, stanno aumentando l’incidenza del Diabete di tipo 2 anche tra i giovanissimi. Tra i bambini e gli adolescenti, in particolare nella fascia degli under 21, nell’ultimo decennio i casi sono aumentati del 9% ogni due anni rispetto alle nuove diagnosi. Nell’8% interessano bambini di età inferiore ai 10 anni. I risultati sono emersi dal più ampio studio su scala mondiale mai realizzato, coordinato dall’Azienda ospedaliero-universitaria delle Marche e dall’Università politecnica delle Marche con il coinvolgimento di 160 centri, tra cui la Stanford University. Attraverso la ricerca, condotta su quasi 97mila bambini nel mondo tra il 2012 e il 2021, “è emerso come la percentuale di diabete di tipo 2 sia passata dal 3,2% del 2012/2013 al 6% del  2020/2021, quindi, appunto, con un tasso di incremento relativo del 9% per biennio”, spiega Valentino Cherubini, presidente della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp).

Il diabete di tipo 2

Il diabete di tipo 2 è la forma più comune di diabete e rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. La causa è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla. In genere, la malattia si manifesta dopo i 30-40 anni e numerosi fattori di rischio sono stati riconosciuti associarsi alla sua insorgenza. Tra questi: la familiarità per diabete, lo scarso esercizio fisico, il sovrappeso e l’appartenenza ad alcune etnie. Riguardo la familiarità, circa il 40% dei diabetici di tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, mentre nei gemelli monozigoti la concordanza della malattia si avvicina al 100%, suggerendo una forte componente ereditaria per questo tipo di diabete. Anche per il diabete tipo 2 esistono forme rare, dette MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young), in cui il diabete di tipo 2 ha un esordio giovanile e sono stati identificati rari difetti genetici a livello dei meccanismi intracellulari di azione dell’insulina. Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, con la presenza di obesità e con la mancanza di attività fisica: questa osservazione consente di prevedere strategie di prevenzione “primaria”, cioè interventi in grado di prevenire l’insorgenza della malattia e che hanno il loro cardine nell’applicazione di uno stile di vita adeguato, che comprenda gli aspetti nutrizionali e l’esercizio fisico (fonte Iss).

Tra gli adolescenti il maggior numero di casi

Dallo studio coordinato dall’Azienda ospedaliero-universitaria delle Marche e dall’Università politecnica delle Marche è emerso un picco tra gli adolescenti tra i 13 e i 15 anni. Cherubini sottolinea come “il 75% dei bambini seguiti in centri europei, americani, australiani e neozelandesi” fosse “in condizioni di obesità” al momento della diagnosi. Lo specialista afferma che per contrastare “un’epidemia di diabete tipo 2 fra i giovanissimi” sia necessario “pensare nuove misure  preventive che prendano in considerazione anche i bambini”. Diversamente dalle attuali linee guida servono “maggiori sforzi per prevenire, individuare e trattare l’eccesso di peso prima della pubertà”, in quanto con gli screening dopo i 10 anni “almeno l’8% dei pazienti potrebbe non essere individuato”. Questo tipo di diabete è più aggressivo se insorge nell’infanzia o nell’adolescenza rispetto all’età adulta, con un maggior rischio di complicanze e “insorgenza di ulteriori patologie a lungo termine, di mortalità prematura rispetto al tipo 1 con esordio in età giovanile e una riduzione della salute e della  qualità di vita complessiva”, rileva Cherubini. “Indispensabile”, conclude, “che gli endocrinologi pediatri facciano informazione,  educazione e prevenzione per arginare questo fenomeno”.

 

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