Gli studi concordano, l’esperto consiglia: «Usarli solo transitoriamente prima di passare a un’alimentazione sugar-free»
Che i dolcificanti sintetici non fossero un toccasana per la salute è, da tempo, un fatto noto. Che potrebbero essere responsabili degli stessi effetti che ci si propone di evitare usandoli (uno fra tutti, il diabete) è invece una novità, che spaventa i consumatori abituali e, soprattutto, insinua una domanda: “non sarà meglio tornare allo zucchero nel caffè?”. La questione non è, ovviamente, così semplice, e parte da uno studio datato 2014 pubblicato sulla rivista scientifica Cell, il quale rilevava che la saccarina e il sucralosio, due dolcificanti artificiali, alterano il microbiota intestinale facendo aumentare i livelli di glucosio nel sangue. Altri studi analoghi succedutisi nel tempo hanno confermato i risultati della precedente indagine, constatando l’aumento del rischio di sviluppare diabete, sovrappeso e patologie correlate in relazione al consumo abituale di questi dolcificanti. Da cosa dipende questa correlazione, e come trovare un bilanciamento che non impatti negativamente sulla salute, sono i punti principali che Sanità Informazione ha voluto approfondire con l’aiuto degli esperti.
«I primi studi in materia sono stato condotti su modello animale a supporto di studi nutrizionali dovuti un potenziale rischio per la salute umana – spiega la nutrizionista Claudia Vetrani dell’Università Federico II di Napoli. – È chiaro che studi del genere su modello umano non è possibile farli in prima battuta per motivazioni etiche, ma considerato il potenziale nesso con problemi di salute, si è passati ad uno studio di tipo osservazionale che restituisce una fotografia di ciò che accade in relazione al consumo di questi dolcificanti artificiali. Il nesso causale, però, resta difficile da stabilire in via univoca. Le abitudini alimentari di qualsiasi persona – prosegue Vetrani – constano di una varietà di elementi, ed ognuno di questi gioca un ruolo più o meno incisivo sulla salute. Prendiamo un modello di western diet, quella tipica americana. In quel caso è plausibile che i danni sulla salute non derivino maggiormente dall’uso di dolcificanti ma da altri nutrienti come, ad esempio, gli acidi grassi trans. Non è quindi facile identificare l’effetto preciso di ogni singolo componente della dieta. La questione – osserva – rappresente comunque un tema caldo: per tanto tempo sono stati consigliati i dolcificanti artificiali in alternativa allo zucchero a causa degli effetti nocivi di quest’ultimo».
«Il nodo cruciale della questione risiede nel nostro microbiota intestinale – spiega ai nostri microfoni la professoressa Annamaria Colao, endocrinologa titolare della Cattedra Unesco Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile presso l’Università Federico II di Napoli -. I dolcificanti artificiali, più che un effetto diretto sui meccanismi metabolici, avrebbero un effetto mediato dalla composizione del microbiota intestinale. Questo è composto da batteri dannosi e batteri utili. I dolcificanti in questione potrebbero andare a nutrire e rinforzare questi batteri dannosi a discapito di quelli utili, aumentando il rischio di colonizzazione dell’intestino da parte dei primi. I batteri utili – prosegue – si nutrono invece di una serie di sostanze quali fibre alimentari e polifenoli, e proliferando esercitano un’azione positiva sul metabolismo».
«La moderazione – osserva la dottoressa Vetrano – è sempre la chiave giusta. È importante non eccedere né nel consumo di zuccheri né in quello di dolcificanti artificiali. Prendiamo ad esempio un’attività quotidiana come può essere il bere un caffè. I dolcificanti artificiali possono essere usati in una fase transitoria che passa dall’abitudine a prendere il caffè zuccherato ad apprezzarlo invece amaro, al naturale. Insomma, una breve parentesi prima di abbandonare definitivamente gli zuccheri semplici in eccesso. In alternativa ai dolcificanti artificiali – conclude – è consigliabile utilizzare quelli naturali come la stevia che, allo stato attuale degli studi, non sembra presentare controindicazioni».
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