Due studi mettono in allarme la comunità scientifica. Cherubini (SIEDP): «Diagnosi precoce per scongiurare il pericolo chetoacidosi»
Due studi, due risultati allarmanti. Il diabete di tipo 1 e 2 è in aumento, soprattutto nella fascia dei giovanissimi under 18, e tra gli imputati, diretti o indiretti, di questa impennata potrebbe esserci proprio il Covid-19. Sanità Informazione ha intervistato sulla questione l’autore dei due studi in oggetto, presentati in occasione del Theras Day pediatrico e dell’appuntamento annuale dell’American Diabetes Association: il dottor Valentino Cherubini, presidente eletto della Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) 2021-2023 e Direttore della Diabetologia Pediatrica degli Ospedali Riuniti di Ancona.
«Abbiamo condotto un’analisi per l’incidenza del diabete di tipo 1 in due regioni Italiane – spiega – con registro di lunga durata, dal 1989 al 2021, e abbiamo osservato che negli anni 2020 e 2021, quindi durante la pandemia di Covid-19, c’è stato un aumento molto importante, e inatteso, dell’incidenza nei giovani under 18. Sulle cause possiamo fare delle ipotesi: c’è la possibilità che l’infezione abbia agito come trigger, slatentizzando un diabete precedentemente sotto traccia. La seconda ipotesi è quello di un effetto diretto del virus sulle cellule beta in soggetti predisposti. La risposta definitiva l’avremo nel corso del tempo».
«Per quanto riguarda il diabete di tipo 2 – prosegue Cherubini – l’analisi è stata condotta su scala globale, utilizzando i dati del registro internazionale SWEET. Qui abbiamo analizzato i dati dal 2003-2022 di cinque aree mondiali: Europa, Nord America e Canada, Sud America, Asia e Africa, Nuova Zelanda e Australia. Abbiamo analizzato la proporzione tra le varie diagnosi di diabete: tipo 1, tipo 2, forme specifiche, gestazionale. Su queste 4 categorie, quella del diabete di tipo 2 ha avuto in tre regioni (Europa, Nord America-Canada e Nuova Zelanda-Australia) un aumento, per ogni biennio, del 9%. Riteniamo verosimile che l’aumento sia legato a condizioni ambientali e soprattutto all’obesità, e questo deve essere un monito per attenzionare ulteriormente la questione degli stili di vita del mondo occidentale. È vero che il diabete di tipo 2 può in un primo momento essere trattato con la dieta e con ipoglicemizzanti orali – sottolinea – ma è anche vero che le complicanze, quando arrivano, sono particolarmente gravi e invalidanti. È necessario continuare un’accurata sorveglianza epidemiologica sul diabete di tipo 1 e 2 per poter riconoscere sempre meglio i determinanti ambientali e per poter attuare efficaci azioni di prevenzione».
«I segnali da attenzionare per il diabete di tipo 1 – osserva Cherubini – sono in primis una richiesta più abbondante di acqua, non in linea con le abitudini del bambino; l’aumento delle minzioni, compresa una enuresi secondaria, quindi se il bambino inizia a fare pipì a letto; un calo di peso inatteso. In questi casi è bene rivolgersi al medico e/o effettuare un semplice stick glicemico in farmacia, che può essere dirimente e consentire una diagnosi precoce. Uno degli obiettivi di primaria importanza, infatti, è evitare la chetoacidosi diabetica, una complicanza acuta e grave del diabete di tipo 1 non diagnosticato in tempo».
«La chetoacidosi diabetica – spiega Cherubini – si manifesta con una riduzione del PH del sangue. Il PH del sangue è di norma a 7.34, quando scende sotto i 7.30 abbiamo già chetoacidosi, che è moderata sotto i 7.20 e grave sotto i 7.10. La chetoacidosi moderata e grave può comportare danni morfologici del sistema nervoso centrale, difetti cognitivi che perdurano nel tempo, e problemi sul lungo periodo nella gestione del controllo metabolico, ma soprattutto può portare danni neurologici permanenti e in alcuni casi al coma e alla morte».
«Ai genitori di bambini con diabete di tipo 1 – prosegue lo specialista – consiglio di avvalersi sempre di tecnologie avanzate per la gestione della patologia, cioè i sistemi AID (Automated Insulin Delivery), che permettono di controllare efficacemente le puntate in iperglicemia e di prevenire le ipoglicemie, e che comprendono anche i sensori glicemici per il monitoraggio; ridurre l’uso della multi-iniettiva, che è ormai superata; fare attività fisica regolare, anche 30-45 minuti di camminata al giorno sono sufficienti, purché si eviti la sedentarietà; bere a sufficienza, evitare cibi che contengono zuccheri semplici e seguire una dieta equilibrata in macro-nutrienti; infine, visto che siamo in estate – conclude Cherubini – per i bambini che frequentano centri estivi è bene informare sempre il personale circa le precise esigenze del bambino, per la sua serenità e sicurezza».
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