In occasione del World Diabetes Day che si celebra il 14 novembre di ogni anno, Dario Pitocco, diabetologo Università Cattolica – Policlinico Gemelli, fa il punto su sensori per la glicemia e microinfusori di insulina che hanno rivoluzionato la qualità di vita dei pazienti
Sensori per la glicemia e microinfusori di insulina hanno rivoluzionato la qualità di vita dei giovani con diabete di tipo 1. Ma negli ultimi tempi, sempre più spesso, ne stanno beneficiando anche gli adulti-anziani con diabete di tipo 2 in trattamento insulinico. A fare il punto sulla gestione della malattia è Dario Pitocco, associato di Endocrinologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOSA di Diabetologia della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, . in occasione del World Diabetes Day che si celebra il 14 novembre di ogni anno.
“Lo sviluppo di tecnologie avanzate e di algoritmi matematici, che fanno dialogare tra loro i sensori per la rilevazione dei livelli di glicemia, con i microinfusori di insulina – spiega Pitocco – ha consentito a tante persone con diabete di tipo 1, di migliorare in maniera significativa il proprio compenso metabolico e dunque la qualità di vita, proteggendoli dalla comparsa delle complicanze più temibili del diabete (retinopatia, insufficienza renale terminale, amputazioni, eventi cardio-vascolari). Con questi sistemi ‘ibridi’, si possono raggiungere obiettivi glicemici molto ambiziosi, mantenendo i valori di glicemia all’interno del range fisiologico di 70-140 mg/dl per buona parte della giornata. Oggi, grazie alla tecnologia, siamo in grado di rimpiazzare la funzionalità insulinica, in questi pazienti che non la producono più”.
“Fino alla fine degli anni ’90 –ricorda Pitocco – l’insulina veniva fatta per ‘sopravvivere’, mentre oggi puntiamo a migliorare la qualità di vita dei nostri pazienti. In passato, la vita di una persona con diabete di tipo 1 era costellata di numerosi episodi di ipoglicemia, con un impatto devastante sulla loro vita; oggi la tecnologia consente di mantenere stabili i valori di glicemia, molto vicino al fisiologico, come abbiamo di recente dimostrato in un nostro studio pubblicato su Diabetes, Obesity and Metabolism e questo consente di affrontare una giornata piena di sport, studio, lavoro in maniera normale, al pari dei coetanei non affetti da diabete”.
La tecnologia insomma è un asso nella manica per le persone con diabete di tipo 1. Ma più di recente, le indicazioni si sono estese anche alle persone con diabete di tipo 2 che necessitano di terapia insulinica; queste rappresentano il 30-40% di tutte le persone con diabete e in generale appartengono a fasce d’età più avanzate. “Il cardine della rivoluzione – spiega Pitocco – è stato il sensore di glicemia, un concentrato di tecnologia che si indossa tutto il giorno e che permette di vedere tutto il ‘film’ della glicemia nel corso delle 24 ore e non solo la fotografia, il controllo puntiforme, dato dalla rilevazione con la puntura al dito. L’ulteriore passo è stato mettere in comunicazione il sensore con il microinfusore di insulina e questo ha abbattuto il numero degli episodi di ipoglicemia. Ora l’obiettivo è garantire un controllo glicemico ottimale H24. Nel prossimo futuro, ci aspettano sistemi sempre più smart che, aiutati dall’intelligenza artificiale, renderanno sempre più vicina al fisiologico la somministrazione di insulina”.
Al momento, solo il 43% delle persone con diabete di tipo 1 utilizza il sensore e solo il 22% il microinfusore. Ma l’arrivo negli ultimi anni di sistemi sempre più “intelligenti” e smart sta aumentando il tasso di utilizzo, soprattutto tra i giovani. “Siamo nettamente sotto la media dei Paesi europei occidentali – ammette Pitocco – dove l’utilizzo del microinfusore si attesta intorno al 45%, cioè in quasi una persona su due, mentre noi siamo ancora a una persona su 5. Nel diabete di tipo 2 l’impiego della tecnologia è ancora bassissimo, intorno all’1%. Uno dei motivi per cui l’utilizzo di questi device da noi non decolla è la scarsità di personale dedicato al trattamento ‘tecnologico’ del diabete; i centri di riferimento con personale specializzato nel counselling (alimentare, sullo stile di vita) e nell’impiego di queste soluzioni sono ancora troppo pochi nel nostro Paese”.
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