Abbiamo raggiunto Dionisio Cumbà in Guinea Bissau, dove ora è ministro della Sanità. Da ragazzo ha studiato e si è specializzato in chirurgia pediatrica a Padova. La sua è un’avventura straordinaria, fatta di solidarietà, coraggio e di un grande sogno
Questa è una storia di coraggio, pervicacia e aspirazione. Una storia che inizia con un ragazzino che parte dal villaggio di Jugudul in Guinea Bissau, per raggiungere la Capitale e provare a frequentare l’unico liceo disponibile pagando il viaggio con una delle sue galline. Anni dopo quello stesso ragazzo siederà sulla scrivania riservata al ministro della Sanità. È la storia di Dionisio Cumbà, chirurgo pediatrico formato in Italia e attuale ministro della sua Guinea Bissau.
Quando lo raggiungiamo dallo schermo del pc, il ministro Cumbà è seduto nel suo studio. Alle spalle si vede una bandiera dell’Italia, tra i tanti libri e simboli autoctoni. Parla italiano perfettamente e ammette di conoscere anche il dialetto veneto, quello della regione che lo ha ospitato per laurea e specializzazione. Ci racconta una vicenda intrecciata a filo doppio con il suo più grande desiderio della vita: imparare.
Con quella sete nel cuore, un giovanissimo Dionisio vende una gallina per potersi pagare il viaggio da Jugudul a Bissau, dove c’era l’unico liceo scientifico da frequentare nel Paese. Arrivato nella Capitale, vede per la prima volta una città e ne rimane abbagliato. Si avventura per i vicoli e trova finalmente il liceo. Tutto il viaggio serviva solo per sapere se il suo nome era stato comunicato dalla sua scuola al liceo e per scoprire la data dell’esame di ammissione. Quel giorno Dionisio scopre sì di essere stato segnalato, ma anche che il test si sarebbe tenuto il giorno successivo. «Ho fatto un calcolo – racconta Cumbà – i soldi bastavano solo per il ritorno, così ho deciso di dormire sulle scale di fronte al liceo. Almeno sarei stato sicuro di svegliarmi in tempo».
Dionisio supera quel test di ammissione e decide di restare a Bissau, ma deve trovare una sistemazione. In aiuto arriva un suo conoscente che lo porta ad incontrare una delle figure più importanti per la sua vita futura: padre Battisti. Il missionario italiano gestisce in quel periodo a Bissau una residenza per giovani studenti senza casa. Insegna loro a realizzare delle statue, da poter poi vendere per mantenersi agli studi. Dionisio si impegna e resta lì fino alla maturità. Scopre dopo poco che suo zio, un fratello della madre, lavora lì come segretario e ritrova un po’ di famiglia nella grande città.
La storia del dottor Cumbà con l’Italia comincia subito dopo. Ogni anno padre Battisti invia alcuni ragazzi meritevoli a studiare in Italia, sostenuti dalle offerte parrocchiali. Nel 1991 Dionisio parte insieme con altri due ragazzi alla volta di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, con l’intenzione di studiare Medicina all’università. Qui lo accoglie una famiglia, sorpresa di vedere arrivare tre ragazzi tutti insieme. A causa di questa incomprensione la famiglia ammette di non poter mantenere tutti all’università. Dionisio è costretto subito a cambiare direzione e, per non allontanarsi troppo, decide di frequentare la Scuola di Infermieristica a Verona.
Nei tre mesi trascorsi a Montecchio Dionisio e gli altri ragazzi imparano l’italiano. «La famiglia era molto organizzata – spiega Cumbà – e ci aveva procurato un insegnante di italiano. Imparare la lingua era la nostra più grande preoccupazione perché sarebbe stato il nostro lasciapassare per lo studio, che tanto volevamo». Dopo il trasferimento, nel 1994 arriva il diploma da infermiere.
Segue un anno trascorso a Lisbona, senza perdere la volontà di diventare medico. Inseguito da problemi burocratici, visti scaduti e nuove leggi che complicano ancora di più la sua permanenza. Ottiene il permesso di frequentare l’università in Italia, ma i posti ridotti sono ancora un ostacolo. Dionisio si iscrive allora a Padova, nella facoltà di Chimica farmaceutica. Per mantenersi comincia a lavorare per una cooperativa con appalto a Dolo, un comune del Veneziano. Qui viene assunto come Oss, nonostante il diploma da infermiere, solo perché straniero.
«Portavo da mangiare e lavavo i piatti – racconta – smaltivo l’immondizia e recuperavo gli esami di laboratorio. Arrivavo ogni pomeriggio in autobus da Padova, dove andavo a lezione. Qui ho conosciuto uno dei portinai, che un giorno mi chiama “Moretto, vien qua!” mi dice in dialetto e mi prende in simpatia. Dopo una settimana mi aveva regalato il motorino di suo figlio, con assicurazione pagata, per facilitarmi il viaggio». Ma Dionisio non sapeva che si trattava solo del primo passo.
Il signore si affeziona a lui, si informa e apprende del desiderio di Dionisio di diventare medico. Dopo qualche tempo lo invita, una domenica, ad Arino, una frazione di Dolo, per presentargli alcuni amici. Il giovane intorno al tavolo trova sedute 40 famiglie, che gli annunciano di voler diventare i suoi finanziatori per permettergli di frequentare Medicina. Annuncio rigorosamente riportato in dialetto veneto. Dionisio tocca il cielo con un dito, la solidarietà di queste semplici persone lo porta alla svolta della sua vita.
Dall’anno successivo, il 1997, diventa ufficialmente uno studente di Medicina a Padova, dopo aver superato il test. I suoi benefattori gli trovano una casa in città, da condividere con due connazionali, e la riempiono di ogni cosa. Il falegname porta i mobili, i negozi di biancheria i vestiti, i negozi di alimentari fanno a gara per non far mancare loro nulla. Il 20 marzo 2004 Dionisio si laurea. Presenti alla discussione, non senza la disapprovazione degli addetti, tutte le 40 famiglie dolesi in un momento di celebrazione universale. «Per Arino è stata una giornata di festa – ricorda il dottor Cumbà – e mi sono sentito circondato da molto affetto».
Come specializzazione il dottor Dionisio sceglie chirurgia pediatrica, con l’aiuto di padre Battisti le famiglie di Dolo continuano a sostenerlo. Nel 2010 conclude anche questo percorso. Il prossimo passo sarebbe stato lavorare a Londra, il contratto era già pronto. Ma il fato ha voluto che trascorresse una breve vacanza in Guinea Bissau prima di trasferirsi. Qui incrocia il caso di una bimba nata senza ano, da 15 giorni visitata da tanti medici che non avevano intuito il problema. «Aveva una pancia molto gonfia, stava morendo. Con un amico oculista che era con me in vacanza le abbiamo fatto una colostomia in una clinica senza attrezzi né luce, con i nostri cellulari. Questa bambina mi è rimasta in testa, ho capito che non potevo voltare le spalle alla Guinea».
La decisione è presa: Dionisio Cumbà torna nel suo paese natale. Con padre Battisti costruiscono un ospedale pediatrico, il St. Josè em Bor, con il sostegno di alcuni industriali bresciani. Tante le missioni mediche organizzate da allora, a partire dal suo professore di specializzazione a Padova. Da Brescia, Foggia, Ferrara, dalla Sicilia con un gruppo di anestesisti. «Sono stati 10 anni di missioni, ora continuiamo in chirurgia pediatrica con il prof. Gamba, con il prof. Fagin neurochirurgo, la dottoressa Tognon e la dottoressa Vogaro anestesiste. Vengono poi gruppi tedeschi, portoghesi e siamo arrivati fino a 10mila operazioni chirurgiche».
Nel 2018, il dottor Cumbà diventa presidente dell’Istituto nazionale di Salute Pubblica in Guinea Bissau. Quest’anno, mentre era in visita dalla sua famiglia, riceve una chiamata importante. Il piano era rimanere qualche anno con i suoi bambini e sua moglie, sposata nel 2012, anche lei impiegata in pediatria. La chiamata però lo sconvolge: è una richiesta a diventare ministro della Sanità. «Il presidente della Repubblica ha molto insistito e ho sentito di accettare – afferma Cumbà -. Tutti i miei colleghi in Italia mi hanno promesso sostegno ma ora c’è un’enorme riorganizzazione da dover mettere in atto».
La situazione in Guinea Bissau non è semplice. Gli ospedali non sono organizzati e funzionano come un ambulatorio qualsiasi. I medici hanno formazione locale e poca esperienza, racconta ancora. «Voglio essere un ponte con l’Italia per una cooperazione a livello sanitario, per poter trasformare questi aiuti che arrivano volontariamente dai miei colleghi in un contributo più solido». Il ministro Cumbà vuole che la sanità arrivi anche a chi abita nei villaggi più remoti, sistemando gli ospedali regionali che sono i più disastrati. Il tasso di morte infantile e neonatale è ancora altissimo. I bimbi nati con malformazioni vengono spesso abbandonati da mamme spaventate che non hanno mai ricevuto i controlli necessari».
Con la pandemia di coronavirus anche la Guinea ha vissuto un’emergenza. «Non è stato facile convincere le persone che si trattava di un virus pericoloso – racconta ancora Cumbà -. In molti dicevano “è una malattia dei bianchi”, non rispettavano le regole. In aprile 2020 abbiamo avuto il primo morto per Covid-19, è arrivata la paura. Abbiamo cominciato a testare e trovato troppi positivi. Non avevamo terapie intensive, non c’era ossigeno per far fronte alla richiesta. Nel 2020 abbiamo affrontato tre mesi durissimi. Poi è tornata la calma, fino a dicembre. Alcuni sono tornati e hanno portato la variante inglese, a inizio anno abbiamo affrontato un momento molto difficile».
La Guinea-Bissau ad oggi conta 70 morti “certificati” per Covid-19, c’è un solo paziente ricoverato ma è negativo al test. Sono arrivati i vaccini con l’iniziativa Covax, 32mila dosi e 6mila dosi dalla Cina. Dall’India sono arrivate 12mila dosi di AstraZeneca. «Da lunedì cominceremo a vaccinare anche nelle regioni, per ora abbiamo concentrato le dosi a Bissau che raccoglie due terzi della popolazione», aggiunge.
«Noi medici dobbiamo avere il coraggio di andare avanti – conclude Cumbà -. Abbiamo scelto questa professione per essere utili agli altri. I nostri politici devono capire quanto è centrale la sanità per la vita di un Paese. Un piccolissimo virus è quasi riuscito a sconfiggerci. Investire sulla vita umana non è mai un errore, questo bisognerebbe capire. Chiedo poi ai tanti miei connazionali che studiano fuori di pensare al ritorno a casa, qui la vostra professionalità sarebbe preziosissima e potremmo costruire un mondo nuovo».
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