Leonardi (neurologa): «Finora sono pochissime le amministrazioni pubbliche ad aver individuato la figura del disability manager. La Lombardia è l’unica regione a riconoscere il percorso di studi universitario come abilitante. La pandemia porterà ad un ulteriore aumento dei malati cronici. Attendiamo l’albo professionale».
Un lavoratore su quattro ha una malattia cronica e, in alcuni casi, una certificazione di disabilità. Sono milioni le persone che ogni giorno devono districarsi tra innumerevoli difficoltà solo per mantenere il proprio posto di lavoro. Eppure, basterebbe interpellare un disability manager per costruire realtà professionali a misura di disabili e malati cronici.
«Da quindici anni l’Università Cattolica forma professionisti preparati ad affrontare il difficile tema dell’inclusione lavorativa, anche in condizioni complesse. Sono ormai centinaia i disability manager che, avendo ricevuto una formazione interdisciplinare, operano sul campo. Si tratta di professionisti in grado di provvedere non solo all’inclusione, ma anche al mantenimento del posto di lavoro e al reinserimento dopo un periodo di malattia», spiega Matilde Leonardi, direttore dell’UOC Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità e Coma Research Centre, della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.
La formazione universitaria va avanti anche se ancora non esiste una chiara disciplina nazionale: a distanza di cinque anni si è ancora in attesa dei decreti attuativi del Jobs Act e, nonostante l’obbligo introdotto dalla cosiddetta “legge Madia”, sono pochissime le amministrazioni pubbliche ad aver individuato tale figura. «La Lombardia – continua la docente – è l’unica regione a riconoscere come abilitante il percorso di studi universitario».
Invecchiamento della popolazione e innalzamento dell’età pensionabile contribuiranno all’aumento dei malati cronici tra i lavoratori. «Malati – sottolinea Leonardi – che se non in possesso dei requisiti necessari per accedere all’invalidità, rischieranno di subire delle discriminazioni a causa del loro stato di salute. Sono individui che soffrono per lo più delle cosiddette malattie invisibili: diabete, ipertensione, mal di schiena, mal di testa. Senza dimenticare coloro che, pur avendo combattuto contro un tumore, vogliono tornare a lavorare».
È in che modo il disability manager può provvedere all’inclusione sociale e lavorativa? «Il metodo da utilizzare è quello biopsicosociale, che non valuta semplicemente le condizioni di un singolo individuo, ma anche del contesto in cui si trova a vivere e ad operare – dice la docente -. Deve proporre modifiche in grado di rendere l’ambiente lavorativo adatto ad accogliere qualsiasi persona fragile, sia in modo temporaneo che permanente».
Questi obiettivi possono essere realizzati attraverso i cosiddetti “accomodamenti ragionevoli”. «L’azienda – spiega Leonardi – può apportare delle modifiche strutturali e organizzative, senza alterare i suoi bisogni di produzione e competizione, per garantire la completa partecipazione del lavoratore. Tra le soluzioni più richieste da chi ha problemi di salute c’è sicuramente il lavoro flessibile. Anche lo smart working, molto poco diffuso prima dell’emergenza Covid, può essere ritenuto un buon “accomodamento ragionevole”».
Se a soffrire di una patologia cronica è un lavoratore precario, la faccenda si complica ulteriormente. «Un impiegato con contratto a tempo determinato è facile che tenda a nascondere i suoi eventuali problemi di salute per paura di essere discriminato, se non addirittura rimpiazzato con un altro lavoratore, anche a parità di bravura e produttività. È per questo – commenta l’esperta – che il disability manager, oltre a provvedere a faccende pratiche ed organizzative, deve essere in grado di individuare, valutare e risolvere anche problematiche di natura etica».
Bisogni che l’emergenza Covid renderà presto ancora più urgenti ed evidenti: «La pandemia porterà, senza dubbio, ad un ulteriore aumento dei malati cronici. Per questo auspichiamo che la formazione del disability manager venga presto riconosciuta in tutta Italia, grazie anche al contributo della Fedman. La Federazione disability manager, l’associazione maggiormente rappresentativa del settore, infatti, è attualmente impegnata nella creazione di un albo di categoria, una istituzione – conclude Leonardi – che contribuirà a rafforzare ulteriormente le specificità di questa importante figura professionale».
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