Salute 16 Maggio 2019 09:00

Distrofia muscolare: ecco la casa ideale. Il progetto dell’architetto Michele Marchi

Le linee guida per la costruzione o ristrutturazione di abitazioni per famiglie Duchenne: «Letto ad una piazza e mezzo in una stanza di almeno 14 mq, con cabina armadio o guardaroba con ampie ante scorrevoli trasparenti. Bagno adiacente alla zona notte. Cucina totalmente accessibile: assenza di pensili tra il pavimento e il top e tavoli con piede centrale per permettere l’accostamento della carrozzella»

di Isabella Faggiano
Distrofia muscolare: ecco la casa ideale. Il progetto dell’architetto Michele Marchi

Mentre la mente di anno in anno evolve, le potenzialità motorie diminuiscono. È questo il destino dei bambini affetti da patologie degenerative, come la distrofia muscolare di Duchenne, una malattia neuromuscolare caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare a progressione rapida e da degenerazione dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci.

Ma se il destino di questi pazienti non può essere cambiato, almeno fin quando non si arriverà alla scoperta di una cura definitiva, è possibile impegnarsi per migliorare la loro qualità di vita. Ed è con questo obiettivo che Michele Marchi, architetto ph.d., ha deciso di dedicare alcuni anni di studio alla progettazione della casa ideale per pazienti distrofici. Prima con un dottorato di ricerca all’università di Ferrara, sostenuto da Parent Project onlus  – un’associazione nata da genitori con figli affetti da Distrofia muscolare Duchenne e Becker – poi, con il libro “Design for Duchenne, linee guida per il progetto di costruzione o ristrutturazione di abitazioni per famiglie Duchenne”, edito dalla Franco Angeli.

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«Un’abitazione standard accessibile a tutte le persone distrofiche – spiega Michele Marchi – è difficile da ideare, in quanto la progettazione va fatta su misura, partendo dai bisogni delle singole persone. Innanzitutto, va sottolineato che le esigenze di questi pazienti, a differenza di coloro che hanno una malattia non degenerativa, cambiano con il passare degli anni e con il peggioramento inevitabile della patologia. Ciò nonostante – sottolinea l’architetto – è possibile determinare qualche punto di partenza fermo dal quale avviare la progettazione».

Cominciamo dalla camera da letto. «È uno spazio molto importante – spiega Marchi – perché con l’evolversi della malattia, diventerà l’ambiente più vissuto dal paziente affetto da distrofia. La prima cosa da considerare sono le dimensioni: una stanza singola, così come dettato dalla normativa, di 9-12 mq non è sufficiente a soddisfare le esigenze. È consigliabile una dimensione di almeno 14-16 mq ed oltre. Il letto ideale è ad una piazza e mezzo, poiché un letto singolo risulterebbe troppo piccolo ed uno matrimoniale renderebbe difficoltosi i trasferimenti, seppur con l’aiuto del caregiver».

Anche l’armadio è un componente fondamentale dell’arredamento, capace di influire sull’autonomia del soggetto.  «Creare un guardaroba che offra la possibilità di scegliere i vestiti da indossare – aggiunge l’architetto – aumenta e stimola l’indipendenza. Se gli spazi lo consentono è possibile progettare una cabina armadio in cui la persona possa fisicamente entrare con la propria carrozzella e decidere l’abbigliamento preferito. In alternativa, si può optare per un normale armadio con ampie ante scorrevoli vetrate. La trasparenza delle ante è essenziale per contribuire alla libera scelta del vestiario».

Il bagno è bene che sia collocato nelle vicinanze della camera della persona distrofica, «meglio ancora – sottolinea Marchi –  se inserito in un unico nucleo abitativo con la stanza da letto. I trasferimenti da un luogo all’altro della casa, soprattutto per un paziente affetto da una malattia degenerativa, sono la cosa più complessa. Si tratta in genere di meccanismi piuttosto costosi e quelli erogati in convenzione con il SSN sono piuttosto obsoleti e non completamente performanti, come ad esempio il sollevatore fisso».

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Alla cucina è dedicato un intero capitolo del manuale, «anche se, purtroppo  sottolinea Marchi – con l’avanzare dell’età ed il progredire della malattia sarà difficile che un individuo con distrofia muscolare possa essere in grado di provvedere da sé alla preparazione dei pasti». Ma non essere completamente autosufficiente non significa dover rinunciare alla propria libertà di scelta. «Rendere fruibili tutti gli spazi di un’abitazione – continua l’architetto – significa salvaguardare indipendenza ed autostima».

È fondamentale che ogni oggetto presente in cucina sia potenzialmente accessibile a chi è in carrozzella.  «Questo – dice Marchi – permettendogli di entrare agevolmente nell’ambiente dedicato alla cucina, ma anche di potersi infilare con la carrozzella sotto il piano lavoro. Per questo motivo, lo spazio compreso tra il pavimento e il top deve essere privo di pensili. È preferibile anche che lavello e piano cottura siano vicini, così da permettere il passaggio delle stoviglie da una parte all’altra con facilità. Inoltre, il piano cottura deve essere a filo con il top, né incavato, né sopraelevato, per permettere a chi non ha molta forza negli arti superiori di trascinare le pentole, senza sollevarle. Ed anche nella cucina, come nell’armadio, è utile che la dispensa sia vetrata,  così da permettere una scelta libera. Attenzione che sedie e tavoli siano di altezze corrette e, soprattutto, che le gambe del tavolo siano posizionate al centro, così da consentire l’accostamento della carrozzella».

A dare il tocco finale a questa abitazione ideale è la domotica, non necessaria ma molto funzionale. «Ha il grande pregio di permettere una personalizzazione superiore di tutti gli ambienti – spiega Marchi -.  Grazie a sensore e pulsanti è possibile essere completamente autonomi nell’aprire finestre, tapparelle, nell’accendere o spegnere le luci».

Una casa, dunque, costruita perfettamente a misura delle esigenze del singolo individuo e della sua patologia. Ma quanto costa questo appartamento ideale? «Il costo di costruzione è molto simile a quello di un’abitazione normale – spiega l’architetto -. Se utilizzo, ad esempio, un impianto domotico sarà lo stesso che utilizzerei anche per un normodotato, con analogo prezzo. Ciò che fa la differenza è l’approccio alla progettazione. Ideare una casa per chi soffre di distrofia obbliga il progettista ad avere il supporto di altre figure professionali, come quella del terapista occupazionale o del fisioterapista, specialisti che, con la consulenza del medico che segue il paziente in questione, saranno in grado di valutare le esigenze presenti e future dell’individuo. Necessità che l’architetto – conclude l’esperto –  avrà il compito di trasformare in un progetto di ambienti funzionali e confortevoli».

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