Non solo anoressia e bulimia. Balestrieri (Sinpf): «Il rapporto distorto col cibo necessita sempre di cure adeguate»
Che durante la pandemia ci sia stato un incremento dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) tra la popolazione è un fatto acclarato da numerosi studi ed evidenze, tra cui l’impennata del 36% di diagnosi in più e del 48% in più di ricoveri in Pronto Soccorso dovuti a queste problematiche.
Ma gli studi dimostrano in maniera altrettanto chiara che l’incremento non ha riguardato solo i due macro-disturbi dell’anoressia e della bulimia, ma anche fenomeni quali l’ortoressia (l’ossessione per il mangiare sano) e il binge eating disorder, quest’ultimo riconosciuto solo di recente dalla comunità scientifica come DCA vero e proprio ma in parte sottovalutato dall’opinione pubblica, forse a causa dell’assenza di evidenti (e drammatiche) manifestazioni esterne o ripercussioni cliniche, come invece accade per l’anoressia.
Tuttavia, sia l’ortoressia (che ufficialmente non figura tra i DCA) che il binge eating disorder possono non solo sfociare in patologie più severe, come appunto anoressia e bulimia, ma sono sovente il sintomo di una difficoltà psichica e relazionale che, se non trattata nei tempi e nelle modalità giuste, può condizionare fortemente la qualità della vita di chi ne è affetto. Ne abbiamo parlato con il professor Matteo Balestrieri, ordinario di Psichiatria presso l’Università di Udine e co-presidente della Sinpf, la Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia.
«La rete di servizi attualmente presente nel nostro Paese per la presa in carico dei pazienti con DCA dovrà sicuramente implementare le proprie risorse per far fronte nel migliore nei modi a questa aumentata domanda di salute – afferma Balestrieri -. Che non ha riguardato, appunto, solo la bulimia e l’anoressia, ma anche il disturbo da alimentazione incontrollata, altrimenti conosciuto come binge eating disorder. Questo – spiega – si caratterizza dalla presenza grandi di abbuffate che, a differenza di quanto accade nei casi di bulimia, tendono in generale a non essere seguite da meccanismi compensatori, quali vomito autoindotto o uso di lassativi o eccesso di attività fisica. Infatti il binge eating disorder è spesso prodromico a problematiche legate all’aumento del peso corporeo, come l’obesità».
«Abbiamo poi riscontrato durante la pandemia – continua Balestrieri – un forte aumento dei comportamenti alimentari relativi ad una eccessiva selettività nei confronti del cibo, un fenomeno comunemente identificato con l’ortoressia, ma che invece può assumere contorni diversi. L’ossessione, infatti, può non riguardare solo il mangiare sano, ma il mangiare solo alimenti di un determinato colore, ad esempio. Sebbene non classificati come veri e propri DCA – sottolinea – è chiaro che si tratta di comportamenti che impattano sul vissuto psichico personale ma anche familiare e relazionale, e che vanno trattati nelle sedi opportune».
«Tra le cause dell’aumento di questi due fenomeni – osserva il professore – possiamo sicuramente annoverare il bisogno di controllo, nel caso dei disturbi da selettività alimentare: il rapporto col cibo rappresenta il terreno su cui quest’esigenza di controllo è tipicamente attuabile, soprattutto se, viceversa, sul contesto esterno (la pandemia) la sensazione è di non avere alcun potere. Nel fenomeno del binge eating disorder, invece, il cibo viene caricato di significati emotivi, e le abbuffate rappresentano un tentativo di colmare un vuoto (emotivo, relazionale) amplificato dall’isolamento pandemico».
“Dal punto di vista assistenziale – precisa Balestrieri – anche le persone affette da questo tipo di disordini del comportamento alimentare hanno bisogno di una presa in carico multidisciplinare per poterli superare. Al supporto psicologico o psichiatrico deve infatti associarsi quello nutrizionale. Quest’ultimo aspetto è fondamentale: molte pazienti, soprattutto le più giovani, affette da anoressia e bulimia, nonostante abbiano spesso un ottimo livello di cultura alimentare, hanno per contro difficoltà a capire cosa sia giusto o non sia giusto mangiare a livello personale. Ecco perché l’intervento nutrizionale è necessario per personalizzare la terapia – conclude il presidente Sinpf – per costruire un piano alimentare in linea con le preferenze e le esigenze individuali della paziente».
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