«Il 95% di pazienti sono donne, occorre dialogo e prevenzione». L’analisi di Lucio Rinaldi, responsabile UOS Day Hospital di Psichiatria del Policlinico Gemelli di Roma
Hanno dei corpi magrissimi, ma quando si guardano allo specchio la propria immagine non è mai abbastanza snella. La visione di sé è distorta: c’è sempre qualche chilo ancora da perdere. E così la dieta continua, fino a diventare un digiuno. Una privazione di cibo letale. Ogni anno, in Italia, tremila persone perdono la vita a causa dell’anoressia nervosa.
Ma è soltanto una delle tante facce dei Disturbi del comportamento alimentare. «Ne soffrono più di 3 milioni e mezzo di italiani – ha spiegato Lucio Rinaldi, responsabile UOS Day Hospital di Psichiatria del Policlinico Gemelli di Roma – ogni anno si registrano 8.500 nuovi casi. Ad ammalarsi sono soprattutto le donne, con un’incidenza del 95%».
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Dottor Rinaldi, ci sono delle fasce di età più a rischio?
«Anoressia e bulimia hanno un esordio prevalentemente adolescenziale. Altri disturbi, come ad esempio il Binge-Eating (detto anche Bed – acronimo dell’inglese Binge Eating Disorder, ndr) caratterizzato da abbuffate che ricorrono ciclicamente, possono avere una comparsa più tardiva».
Queste diverse forme hanno degli elementi comuni?
«L’anomalo rapporto con il cibo, la preoccupazione per la forma del fisico, una distorta percezione dell’immagine corporea. Tutti fattori che comportano una riduzione dell’autostima, con conseguenze sull’umore e sulla qualità della vita, non solo dell’individuo ma di tutte le persone che gli sono accanto. La famiglia è spesso coinvolta anche nella genesi del disturbo».
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Sta dicendo che esiste una responsabilità familiare, sociale?
«La solitudine influenza la costruzione dell’identità dell’individuo fin dalle prime fasi della sua esistenza. Le ricerche attuali inducono a credere che già il feto sia capace di attivare dei meccanismi di autoregolazione, in assenza di un adeguato contatto con la propria madre. E i meccanismi di autoregolazione degli esseri umani sono principalmente collegati proprio al cibo e al corpo. Un bambino lasciato solo comincia a mangiare di più. Così come un adolescente che non condivide le proprie emozioni con gli altri, potrebbe trovare rifugio in un rapporto non sano con il cibo, nella direzione della restrizione o dell’eccesso. L’alimentazione accompagna l’individuo lungo l’intero arco della sua esistenza: dai primi momenti della vita endouterina, all’allattamento, passando per l’infanzia e l’adolescenza, fino all’età adulta e alle ultime fasi della vita. Anche un anziano lasciato solo può trovare consolazione nel cibo, oppure nel suo totale rifiuto».
Qual è il primo passo da compiere verso la guarigione?
«Siamo di fronte ad un problema complesso, di non facile soluzione. Spesso è necessario un intervento multidisciplinare, un lavoro congiunto di medici, psichiatri e psicoterapeuti. Ma la prevenzione è, come sempre, l’arma migliore. Per prevenire i Disturbi del comportamento alimentare è necessario il dialogo. I potenziali pazienti sono spesso chiusi in se stessi, incapaci di parlare dei propri problemi. Si sentono troppo diversi dagli altri. Ecco, il primo passo è questo: abbattere ogni percezione di diversità».