Salute 15 Giugno 2020 17:07

Disturbi alimentari nei più piccoli aumentati del 30% in lockdown. Migliaccio (Sisa): «Causati da paura e convivenza forzata»

Bambini e pre-adolescenti sempre più esposti ai DCA. Le richieste di aiuto sono salite durante la quarantena. Per l’esperta: «Sensazione di mancanza di controllo e riserve alimentari hanno favorito il binge eating disorder»

Disturbi alimentari nei più piccoli aumentati del 30% in lockdown. Migliaccio (Sisa): «Causati da paura e convivenza forzata»

Cibo spezzettato, vomito auto-provocato, abbuffate e molta sofferenza psicologica. I disturbi del comportamento alimentare sono un nemico silenzioso e subdolo, che colpisce soggetti sempre più giovani. Con il lockdown e le sue condizioni straordinarie, sono stati molti i professionisti che hanno dato l’allarme su un aumento preoccupante del fenomeno. Sanità Informazione ne ha discusso con Silvia Migliaccio, professore associato in Scienze tecniche mediche applicate all’Università di Roma “Foro italico” e segretario generale della SISA (Società italiana di Scienze dell’Alimentazione).

Tendenzialmente, ha spiegato l’esperta, la categoria più a rischio sono le ragazze adolescenti. Ma negli ultimi anni la distanza tra i due generi si è assottigliata, mentre «si è abbassata l’età di esordio della problematica, che inizia a colpire anche bambini e pre-adolescenti». E sono stati proprio i minori a soffrire maggiormente il confinamento obbligato nelle loro abitazioni, perdendo la naturalità dei rapporti con i coetanei e la quotidianità cui erano abituati.

Secondo una recente analisi dell’Osservatorio epidemiologico del Ministero della Salute, nei mesi di lockdown, i disturbi del comportamento alimentare (DCA) nei più giovani sono aumentati del 30%, una percentuale notevole per un lasso di tempo di soli tre mesi. Un aumento confermato anche dai rilevamenti della professoressa Migliaccio: «I ragazzi hanno iniziato a diminuire significativamente l’assunzione alimentare, o la eliminazione di alcuni tipi di alimenti (es. carboidrati, come pane e pasta, o grassi quali olio), oppure le abbuffate non controllate».

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«La paura di infezione e l’isolamento sociale possono aumentare il rischio di ricaduta o peggiorare i disturbi dell’alimentazione – ha spiegato ancora –. Spesso in questa tipologia di persone, le imposizioni possono suscitare sensazioni di disagio e sicuramente questo periodo di quarantena è stato percepito come un’imposizione che può aver slatentizzato dei disturbi o accentuato disturbi già esistenti».

I meccanismi che si instaurano, in situazioni straordinarie come questa, sono molteplici. Uno è certamente legato all’impotenza. «La paura del possibile contagio – ha puntualizzato Migliaccio – può aver fatto sviluppare una percezione della mancanza di controllo della situazione che, per le persone con un disturbo del comportamento alimentare, può aver comportato un incremento delle restrizioni alimentari».

Anche «la forzata e prolungata permanenza a casa ha ridotto la possibilità di svolgere attività fisica con un ulteriore aumento della restrizione dietetica per il timore di prendere peso». E «la percezione di mancanza di controllo può aver fatto scatenare episodi più frequenti di alimentazione incontrollata in chi soffre di binge eating disorder».

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L’esperta mette inoltre l’accento sulle riserve alimentari accumulate quando la spesa era considerata un’uscita al massimo settimanale. Questi rifornimenti «possono aver facilitato le abbuffate e, allo stesso tempo, aver sviluppato una serie di meccanismi/azioni per il controllo del peso, quale uso di diuretici e lassativi oppure vomito indotto».

In ultimo, ma non per importanza, le relazioni “costrette” con i familiari. Un tema che è spesso al centro delle difficoltà dei pazienti con DCA. «La convivenza con i familiari – fa presente Migliaccio – può aver accentuato le difficoltà interpersonali, contribuendo alla permanenza, oppure allo sviluppo, delle alterazioni psicopatologiche dei disturbi del comportamento alimentare».

Situazioni che hanno spaventato molti genitori, che si sono trovati indecisi su come affrontare l’argomento con i figli per paura di sbagliare. «Per i genitori – ha proseguito – può essere molto complicato rapportarsi con giovani che manifestano questo tipo di disturbi, in quanto molti di loro non ritengono di avere problemi di DCA e spesso questo tipo di situazioni può provocare un irrigidimento delle posizioni da parte dei figli. Una possibile modalità di intervento potrebbe essere quella di avere una consulenza con psichiatri o psicologi per farsi consigliare la modalità d’interazione migliore».

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La Fase 3, verso cui ci stiamo avviando, sta restituendo progressivamente la socialità ai più giovani. Un cambiamento che, per l’esperta, «potrà in parte aiutare». Va ribadito, tuttavia, che se in lockdown qualcuno avesse dato prova di DCA o aggravato un disturbo già presente, «dovrà essere affrontato con le giuste attenzioni dagli specialisti del settore».

 

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