«Giovani non vanno dall’andrologo nè dal sessuologo, non hanno punti di riferimento», spiega la sessuologa a Sanità Informazione
Le disfunzioni sessuali maschili riguardano riguardano milioni di italiani. Nonostante una larga fetta della popolazione sia colpita da questi disturbi, si fa fatica a parlarne. Un blocco psicologico spesso legato a motivazioni culturali e sociali, un blocco che ha origine psicologica e che spesso impedisce al paziente di trovare la giusta soluzione. Ne abbiamo parlato con la psicosessuologa Valeria Randone incontrata al Congresso Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction al Policlinico Tor Vergata.
Dottoressa, siamo al convegno sulla chirurgia uro-genitale. Un’occasione per parlare anche dei problemi di natura psicologica perché tanti uomini hanno difficoltà a parlare di queste cose, non vanno dall’urologo o dall’andrologo e spesso i problemi finiscono per aumentare, magari usano metodi non utili, non efficace. Allora qual è lo stato dell’arte?
«Molti uomini, non soltanto uomini di una certa età, ma anche molti ragazzi, hanno difficoltà a parlare di problematiche sessuologiche. Non vanno né dall’andrologo né tantomeno dal sessuologo clinico, rimangono imbrigliati dentro queste difficoltà, per esempio l’ansia da prestazione che è veramente dilagante tra i giovani che non chiedono aiuto. Solitamente in Italia è assente l’educazione sessuale e questi ragazzi si formano con la pornografia. Questi ragazzi crescono a pane e pornografia. Hanno dei miti e dei punti di riferimento assolutamente inadeguati, come per esempio Rocco Siffredi. Quindi con due variabili: quello della durata del rapporto sessuale e quello della dimensione, assolutamente non aderenti alla realtà clinica».
Spesso si cresce anche con dei complessi che non dovrebbero esistere…
«Uno dei complessi più frequenti è la famosa sindrome da spogliatoio, la dismorfofobia peniena. Quando questi ragazzi sono convinti di avere dei genitali troppo piccoli, quindi crescono in età adolescenziale paragonandosi agli attori del porno e pensando di essere assolutamente inadeguati dal punto di vista della genitalità».
Dal punto di vista psicologico quanto incide e che danni può portare?
«Il riferimento al porno incide tantissimo. Loro non hanno i rudimenti della funzione sessuale. Non hanno un adulto di riferimento che sia un insegnante o un genitore perché hanno pudore, hanno vergogna. Quindi parlano tra di loro raccontandosi false informazioni che poi corrono sul filo della rete e diventano quasi delle verità».
Perché secondo lei gli uomini, ragazzi e adulti, hanno così difficoltà a parlare di queste tematiche?
«Hanno difficoltà perché in realtà per l’uomo l’identità fallica, l’identità maschile in generale, corrisponde con l’erezione, con la genitalità. Quindi quando hanno una defezione rispetto alla loro salute sessuale che può essere un’eiaculazione precoce, per esempio, o un deficit erettivo, ovviamente viene ad essere inficiata totalmente l’identità maschile perché c’è un’identificazione nel disturbo sessuale. Quindi un uomo, soprattutto un ragazzo che non ha uno storico sessuale ma che ha una problematica sessuale non è un paziente che ha un disturbo sessuale ma è un paziente che è una disfunzione sessuale».