«Dislessia, disortografia, disgrafia o discalculia: sono i disturbi specifici dell’apprendimento, riconosciuti come tali anche dalla legge 170 del 2010». Parla Silvia Baldi, membro del gruppo di lavoro psicologia e scuola dell’Ordine degli Psicologi del Lazio
Hanno un intelligenza nella norma e, in alcuni casi, anche superiore alla media. Ma hanno difficoltà nella lettura o nel calcolo, commettono tanti errori di ortografia o scrivono in modo quasi illeggibile. Sono bambini con Dsa, i disturbi specifici dell’apprendimento, ovvero dislessia, discalculia disortografia o disgrafia. Problemi che, secondo un recente report del Miur, riguardano il 2,9% della popolazione scolastica, per un totale di circa 254.600 individui.
«I Dsa – ha spiegato la dottoressa Silvia Baldi, membro del gruppo di lavoro “Psicologia e Scuola” dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – si osservano con maggiore frequenza nei bambini, piuttosto che nelle bambine, in un rapporto di 3 a 1».
Entrando nel dettaglio della rilevazione del Miur, per l’anno scolastico 2016/2017, si scopre che la percentuale più alta del disturbo, il 5,4%, è stata riscontrata nella scuola secondaria di I grado. Nella scuola secondaria di II grado la percentuale scende a 4, per arrivare a 1,9% tra gli alunni ancora più piccoli, che frequentano le classi della primaria.
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«I Dsa – ha continuato la dottoressa Silvia Baldi – sono disturbi di origine neurobiologica: il bambino ha una difficoltà ad apprendere delle competenze – come la lettura o la scrittura, compresi gli aspetti grafo-motori – ma la sua intelligenza è pienamente nelle media».Un’intelligenza che gli permette di superare, spesso ma non sempre, ognuno di questi scogli, soprattutto se la diagnosi è precoce e l’intervento tempestivo.
Per la dottoressa Baldi più che di diagnosi sarebbe appropriato parlare «di individuazione precoce della difficoltà. La velocità è fondamentale affinché si possa intervenire sul disturbo e guidare il bambino verso un apprendimento sereno».
Proprio per garantire questa “individuazione precoce”, nel 2010 è stata approvata la legge n.170: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”. Con questo testo, per la prima volta, la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia hanno ottenuto il riconoscimento – da un punto di vista legislativo – di Disturbi specifici dell’apprendimento. Tali disturbi possono anche coesistere in una stessa persona, creando un situazione di comorbilità. In particolare, nel comma 1 si definisce il diritto dello studente con diagnosi Dsa di “fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari”.
«La legge, dunque – ha spiegato Baldi – obbliga la scuola, di fronte ad una certificazione di Dsa, ad attivare delle misure compensative, ossia strumenti e strategie che permettono ai bambini con Dsa di bypassare le difficoltà strumentali. Solo per fare un esempio, un bambino con una dislessia evolutiva potrà essere aiutato nel suo percorso di apprendimento dall’utilizzo di un audio libro o di una sintesi vocale. La legge 170 – ha commentato il membro del gruppo di lavoro psicologia e scuola dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – sottolinea anche la necessità di provvedere precocemente all’individuazione del disturbo. Un’esigenza ribadita anche in un successivo accordo Stato-Regioni del 2012, nel quale si chiedeva di recepire la legge 170 a livello regionale, individuando dei criteri per alleggerire il carico di lavoro del Sistema Sanitario Nazionale per l’emissione delle certificazioni».
Da questo accordo sono trascorsi sei anni e non tutte le regioni si sono adeguate. «Nel Lazio – ha specificato Silvia Baldi – queste certificazioni possono essere emesse solo dal Sistema Sanitario Nazionale. Una limitazione che costringe un genitore ad attendere anche un anno e mezzo – da quando la scuola ha identificato delle difficoltà di apprendimento – per ottenere la certificazione. Diciotto mesi – ha sottolineato la psicologa – per un bambino nel pieno del suo sviluppo sono un tempo lunghissimo».
Eppure, per la Regione Lazio sarebbe sufficiente duplicare il modello già rodato in altre zone d’Italia: «pur auspicando in un potenziamento delle risorse del Ssn, la Regione Lazio – ha spiegato Baldi – potrebbe anche ricalcare modelli già attuati in altre Regioni, dove la Legge 170 è stata recepita. Le Regioni – ha continuato la psicologa – hanno la possibilità di accreditare o autorizzare delle equipe di professionisti privati per colmare eventuali carenze del servizio pubblico. Accade laddove il Ssn non sia in grado di accogliere le richieste delle famiglie entro un tempo ragionevole, al massimo sei mesi. Se questo modello funziona altrove – ha concluso la psicologa – non vedo perché non possa essere applicato con successo anche nel Lazio».