La Federazione Logopedisti italiani in occasione del 20 ottobre, la settima Giornata Internazionale per la Consapevolezza sul Disturbo Primario del Linguaggio, ha messo a punto un identikit che, in soli dieci punti, permette di indentificare l’eventuale presenza del Disturbo
Si chiama disturbo primario del linguaggio e si manifesta attraverso la difficoltà ad acquisire, capire ed usare il linguaggio senza che vi sia una causa apparente, come compromissioni sensoriali, disfunzioni motorie o altre condizioni mediche, non riconducibili a disabilità intellettiva o a ritardo globale. In Italia ne soffre un bambino su 14, più del 7% della popolazione generale. Tuttavia, alla percentuale di diffusione del disturbo non corrisponde un accesso alle cure adeguato, di carattere prevalentemente riabilitativo. Per questo, in occasione della settima Giornata Internazionale della consapevolezza, che si celebra il 20 Ottobre, la Federazione Logopedisti Italiani (FLI) ha messo a punto un identikit che, in soli dieci punti, permette di indentificare l’eventuale presenza di un disturbo primario del linguaggio.
«I sintomi difficilmente riconoscibili, se non da un esperto, rendono tardiva e difficoltosa la diagnosi, soprattutto nelle forme più lievi: ancora troppi bambini e bambine non ricevono pertanto un adeguato supporto – spiega Tiziana Rossetto, presidente della FLI -. Questi ed altri fattori contribuiscono a definire il disturbo primario del linguaggio una “disabilità nascosta” caratterizzata da manifestazioni molto eterogenee che vanno da importanti difficoltà nella realizzazione dei suoni del linguaggio, ad un vocabolario ridotto, fino all’uso di frasi poco elaborate. In alcuni casi il bambino o la bambina può addirittura fare fatica ad intrattenere una conversazione, associate a difficoltà di tipo espressivo, di produzione e/o di comprensione del linguaggio».
Le difficoltà correlate a questo disturbo più facilmente identificabili riguardano la lettura e la scrittura, anche se le sue conseguenze possono compromettere anche i rapporti sociali. Avere difficoltà di conversazione e di interazione con i coetanei può esporre i bimbi e gli adolescenti affetti da un disturbo primario del linguaggio ad atti di bullismo, con ripercussioni sull’umore e sull’emotività, con un rischio aumentato di ansia e depressione. «Un linguaggio poco fluido – prosegue Francesca Mollo, logopedista FLI – può causare la derisione da parte dei compagni. Alcuni studi riportano un’incidenza maggiore di bullismo, con percentuali che tendono a diminuire in caso di bambini con buona comprensione delle proprie emozioni. Lo stato emotivo di chi ha il disturbo primario del linguaggio è piuttosto fragile, con probabilità sei volte superiori di manifestare ansia e tre volte maggiori per depressione. Inoltre, le difficoltà di linguaggio si accompagnano a quelle di lettura, ortografia e matematica, compromettendo il rendimento scolastico e quindi la riuscita nel mondo del lavoro: gli adulti con una diagnosi di disturbo primario del linguaggio tendono a svolgere mansioni poco qualificate e a non essere assunti a tempo pieno».
«Per questo è importante identificare precocemente le difficoltà linguistiche e garantire un supporto attraverso una presa in carico riabilitativa tempestiva – prosegue Ilaria Ceccarelli, logopedista FLI -. Nonostante oggi il ritardo nelle prime acquisizioni del linguaggio sia uno dei motivi più frequenti di consultazione dei logopedisti nel periodo precoce dello sviluppo, i tempi per accedere alle strutture sanitarie sono molto elevati, sia per la diagnosi che per la riabilitazione. Molti bambini non ricevono ancora un intervento tempestivo nelle finestre temporali critiche e spesso, anche nel contesto scolastico, non sono adeguatamente sostenuti». Da qui l’appello che la FLI lancia alle istituzioni, ai clinici, ai famigliari affinché si uniscano in una azione condivisa di sensibilizzazione e conoscenza sulle necessità e gli ancora troppi bisogni non risolti di questo disturbo. «È inoltre importante ricordare – dice Anna Giulia De Cagno, vicepresidente FLI – che, con diversa espressività, il disturbo primario del linguaggio accompagna l’individuo lungo tutto il corso della sua vita e quindi è opportuno favorire l’utilizzo di strategie facilitanti non solo durante i primi della scuola, ma anche nel corso degli studi successivi e dell’università, e creare ambienti adeguati anche nei luoghi di lavoro – conclude -, condividendo strategie efficaci, utili ad un pieno inserimento lavorativo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato