«In Italia chi è più povero e ha meno risorse e competenze, è più esposto a fattori di rischio per la salute, si ammala prima, più spesso e muore prima». L’intervista al professor Giuseppe Costa, Docente di Salute pubblica all’Università di Torino
Dall’ambiente in cui viviamo dipende il rischio di sviluppare malattie. Le circostanze sociali e ambientali fanno la differenza, sono fattori che influenzano positivamente o negativamente la nostra salute. Ne abbiamo parlato con il professore di Sanità pubblica all’Università di Torino Giuseppe Costa, in occasione della conferenza Big Data in Health 2019 di cui Sanità Informazione è stata media partner. Dai suoi studi e dalle sue ricerche, infatti, emerge che quanto più si è benestanti, istruiti, residenti in aree più ricche e in buone condizioni socioeconomiche, tanto più si ha un profilo di salute più sano.
Professore parliamo di diseguaglianze di salute. Vivere in città e nelle zone più periferiche espone a rischi maggiori per la salute. Quali sono i risultati delle sue analisi?
«Dalle ricerche emerge un fatto molto chiaro: non è tanto vivere in città o nelle zone più periferiche ma vivere nelle zone più povere rispetto a quelle più ricche che fa la differenza. La città, spesso, è portatrice di salute perché fornisce maggiori possibilità e accesso ai servizi. Sono le differenze dentro le città a mostrare divari profondi, tra quartieri poveri e ricchi, tra classi povere e ricche, ancora presenti al giorno d’oggi. Chi ha meno risorse e competenze per stare sulla scena della vita può sviluppare disabilità, si ammala prima, più spesso e muore prima. Su queste divisioni e diseguaglianze, il SSN può fare qualcosa, soprattutto il nostro che è un sistema pubblico su base universalistica, ma non può cambiare il modo differente con cui ci si ammala. Per questo, sono necessari programmi di prevenzione, responsabilità di tutta la politica: politiche sociali, del lavoro, della casa, ambientali. È uno sforzo dell’intera società che ha alla sua portata la possibilità di rendere più uguali le opportunità di salute della popolazione. Questo ha ricadute importanti sul piano economico, perché un capitale umano più sano produce di più e sta meglio. Su queste differenze, integrare dati ambientali, sociali e sanitari è fondamentale per mettere in luce tutte le differenze».
Partendo dall’emergenza rifiuti che c’è a Roma per arrivare alle gravi situazioni di inquinamento ambientale come l’Ilva e la Terra dei fuochi, si parla di class action legali da parte dei cittadini per violazione della Convenzione Europea dei Diritti Umani e risarcimento del danno. Cosa ne pensa?
«Dove c’è chiaramente un nesso causale tra l’esposizione e le conseguenze sulla salute è molto ragionevole che si cerchi un risarcimento. Non vincolerei l’iniziativa politica di azione di risanamento al fatto di scoprire che ci sono danni sulla salute. Alcuni danni ambientali sono già più che sufficienti a giustificare l’intervento di bonifica: guai a attendere che si manifestino o siano misurati in modo chiaro gli effetti sulla salute che spesso richiedono tempi lunghi. Sarebbe una scusa molto grave dietro cui nascondere la non volontà di agire e investire per bonificare i nostri ambienti».