Intervista del prof. Maurizio Nordio in vista del Congresso congiunto della Società italiana di Fitoterapia e integratori Ostetricia e ginecologia (SIFIOG) e International Society of Dietary Supplements and Phitotherapy (ISDP) che si terrà a Roma il prossimo 10 e 11 giugno presso lo spazio Frentani
Le patologie della tiroide affliggono un gran numero di donne. Si stima ne soffra, in Italia, circa il 35% senza distinzione tra una Regione e l’altra. Oggi, grazie a due sostanze come l’inositolo e il selenio, è possibile fornire alla tiroide la capacità di poter reagire da sola e di ristabilire una migliore funzionalità. Ne parla il professor Maurizio Nordio, endocrinologo ed esperto in scienze metaboliche.
«La tiroide è un organo essenziale per la vita e fino a non molto tempo fa si pensava che la carenza di iodio fosse un elemento importante per l’origine delle malattie tiroidee, ma oggi questa convinzione è stata molto ridimensionata – afferma Maurizio Nordio –. Le patologie tiroidee sono, infatti, molto diffuse su tutto il territorio nazionale, senza grosse differenze relative alla presenza dello iodio e ci sono nuovi approcci terapeutici per gestire le alterazioni della funzionalità tiroidea. In passato, l’ormone tiroideo sintetico, la tiroxina, era utilizzato come sostituto di quello prodotto dalla tiroide, nel caso in cui fosse documentata una carenza di ormone tiroideo, dato che non si poteva intervenire in alcun modo per sostenere il funzionamento della tiroide. Di recente, è stato osservato, e numerosi studi lo testimoniano, che somministrando myo-inositolo e selenio (sostanze naturali) si riesce a supportare la corretta funzionalità della tiroide. È possibile – sottolinea Maurizio Nordio – agire dall’interno della tiroide in modo molto efficace».
Ma perché le donne si ammalano molto più degli uomini? Secondo Maurizio Nordio sono più colpite perché hanno due momenti della vita in cui la tiroide è particolarmente esposta: quello della gravidanza e della menopausa. Durante la gestazione – illustra l’endocrinologo – le donne, in modo particolare se c’è già una familiarità, possono essere più a rischio per il buon funzionamento della tiroide e viceversa: anche il non corretto funzionamento della tiroide, infatti, può influire negativamente sull’andamento della gravidanza».
Tra le patologie più diffuse c’è la tiroidite cronica autoimmunitaria, o di Hashimoto che deriva da un’infiammazione della tiroide la cui causa può essere molto varia. «È sufficiente – illustra l’esperto – anche una banale infreddatura, un mal di gola o una faringite per averne poi conseguenze. La tiroide – sottolinea – è un organo che come gli altri si può infiammare ma non lo resta per tutto il resto della vita ma solo per un tempo limitato. Ciò che rimane – spiega Maurizio Nordio – e le ecografie, gli esami del laboratorio e l’esame clinico della tiroide lo evidenziano, sono i segni del passaggio dell’ex infiammazione. Nelle tiroiditi di Hashimoto, dal nome del medico giapponese che le ha viste per la prima volta, è possibile identificare la presenza degli anticorpi della tiroide all’interno del sangue del paziente che permette di fare poi una diagnosi corretta».
Per quanto riguarda la patologia nodulare della tiroide, il percorso diagnostico per capire come procedere non è sempre facile. In tal senso, oltre a ecografia tiroidea, esami ematici ed esame clinico della tiroide, anche il cosiddetto ago aspirato può essere d’aiuto, ma non sempre è la soluzione definitiva.
«I noduli – illustra l’esperto – non regrediscono e soprattutto non ci sono terapie mediche per gestirli. Un tempo si credeva che mettendo a riposo la tiroide con gli ormoni tiroidei si potessero bloccare ma si è capito che questo non corrispondeva ai fatti. Un nodulo se deve crescere aumenterà in ogni caso. Per una giusta diagnosi – sostiene Nordio – occorre consigliare un esame ecografico, le analisi del sangue e l’esame clinico del paziente. Se c’è il sospetto che il nodulo abbia caratteristiche accrescitive e cellule modificate, potrebbe essere utile fare l’ago aspirato nel tentativo di identificare le cellule alterate, anche non sempre il risultato è certo. Nell’immaginario dei pazienti e di alcuni colleghi meno addentro al problema – continua Maurizio Nordio – si pensa che così facendo si possa conoscere tutto del nodulo, ma in realtà questo non è vero perché non si può pungere il nodulo da tutte le parti e pertanto potrebbero sfuggire le cellule alterate e quindi ottenere un risultato non veritiero. L’ago aspirato – conclude Nordio – è solo uno degli strumenti che l’endocrinologo ha a disposizione, accanto alla propria esperienza, per una attenta e corretta valutazione dello stato tiroideo della paziente».
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