Il virus Ebola sta mutando. Per questo diventa sempre più difficile da riconoscere e, dunque, da affrontare con tempestività. Lo rivela Nicola Petrosillo, direttore dell’Unità Operativa Complessa infezioni sistemiche dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma.
“La portata del virus – spiega Petrosillo, che ha fatto parte del team dello Spallanzani che ha curato Fabrizio Pulvirenti, il medico di Emergency guarito dal virus contratto in Sierra Leone alcuni mesi fa – si sta riducendo nell’Africa Occidentale e si spera che finisca, ma ci sono ancora alcuni focolai. La cosa emersa da diversi studi è che, con l’evolversi dell’epidemia, è cambiata la presentazione clinica del virus: non è mutato sostanzialmente ma nel 15% dei casi si presenta senza febbre”.
Siamo dunque ancora lontani – ad oltre un anno di distanza dallo scoppio dell’epidemia – da una soluzione definitiva del problema. “Non ci sono cure efficaci – continua Petrosillo – e siamo in attesa del vaccino. Si è parlato di terapie sperimentali con anticorpi monoclonali, del siero di convalescente, di antivirali. Ci sono varie sperimentazioni, ma tutto dipende dall’evolversi dell’epidemia”. Le previsioni più ottimistiche indicano il 2016 come l’anno in cui finalmente la ricerca scientifica porterà a qualche risultato tangibile. Fino ad allora solo preparazione e formazione continua possono assicurare agli operatori sanitari alti livelli di prevenzione, diagnosi e trattamento.
Il virus non è dunque stato debellato e – si è visto negli ultimi anni – i focolai si riaccendono ciclicamente tornando a mietere tantissime vittime. È successo in passato e, purtroppo, succederà in futuro. L’attenzione del mondo è ancora alta. Lo dimostra il primo premio dato al fotoreporter Pete Muller come World Press Photo dell’anno – e in questi giorni in mostra al Museo di Roma in Trastevere – per il reportage su Ebola in Sierra Leone.
D’altra parte, l’esperienza maturata con Ebola può essere usata come modello da seguire per future epidemie simili. È per questi motivi che tutto si può fare in questo momento meno che abbassare la guardia. Specialmente ora che, a quanto pare, il virus sta cambiando faccia rendendo, sottolinea ancora il medico dello Spallanzani, più “complesso il riconoscimento da parte dello specialista”. Si tratta di un “aspetto fondamentale, perché se non si riconosce il virus, diventa più difficile fare un’adeguata terapia o isolare il paziente ed evitare che si diffonda il microrganismo”.