Il presidente della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva: «Nel nostro Paese esiste un sistema di sorveglianza continuativa dei servizi veterinari del SSN che consente di intercettare sin da subito le cosiddette zoonosi, quelle patologie che derivano dal mondo animale e che possono essere trasmesse all’uomo»
Veterinari e operatori del settore agricolo trasformati in cacciatori di virus. È questo lo scopo dell’addestramento che gli scienziati australiani si preparano a mettere in atto in undici paesi asiatici, formando esperti in grado di individuare le malattie zoonotiche, quelle che “saltano” dagli animali agli esseri umani e costituiscono tre quarti delle malattie infettive emergenti.
«Un addestramento – spiega Antonio Sorice, presidente SIMeVeP, la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva – che in futuro potrebbe permettere un’individuazione precoce di pericolosi focolai come quello del Covid-19 che si è sviluppato a Wuhan, in Cina. A favorire l’evoluzione di queste zoonosi sono le situazioni di promiscuità in cui convivono animali, alimenti di origine animale ed un elevato numero di persone, proprio come accade nei mercati cinesi, in quelli del sud-est asiatico o in altre parti del mondo. Una coesistenza che facilita il cosiddetto spillover, ossia il passaggio di un virus da una specie all’altra. In altre parole, patologie tipiche dell’ambiente animale vengono trasferite all’uomo, fino a generare una trasformazione del virus e quindi il contagio interumano».
E cosa sarebbe accaduto se questo “salto” di specie fosse avvenuto in Italia? «Sarebbe stato individuato precocemente – sottolinea Sorice -. Il focolaio sarebbe stato circoscritto e la diffusione del contagio contenuta. Nel nostro Paese, infatti, fin dai primi decenni del secolo scorso, esiste un sistema di prevenzione che consente una sorveglianza continuativa da parte dei servizi veterinari del SSN, in stretta collaborazione con i servizi medici. Tale sorveglianza consente di intercettare sin da subito le patologie che derivano dal mondo animale e che possono essere trasmesse all’uomo, le cosiddette zoonosi. Dal 1954, poi, i servizi veterinari hanno l’obbligo, per legge, di comunicare ai servizi medici delle Aziende sanitarie locali qualsiasi anomalia riscontrata. Ciò consente una rapida attivazione di tutto il sistema di allerta previsto per la risoluzione di problematiche di questo tipo».
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E che questo sistema funzioni lo dimostrano alcuni casi del passato: «È già capitato che in Italia siano state intercettate patologie causate da batteri o parassiti di animali e che possono essere trasmesse all’uomo. La brucellosi (che colpisce diversi tipi di animali, fra cui mucche, pecore, capre, cervi, maiali e cani, ndr) ne è un esempio e contemporaneamente – commenta il presidente SIMeVeP – la dimostrazione dell’efficacia della sorveglianza italiana. I casi di brucellosi verificatisi in Italia, negli anni scorsi, sono stati immediatamente individuati e arginati».
E allora, se il sistema italiano funziona, perché non adottarlo anche altrove? «La sorveglianza veterinaria italiana, come anche quella europea, è molto efficace e sarebbe senz’altro un buon modello da replicare. Ma a questa andrebbe associato il divieto di promiscuità uomo-animale in luoghi affollati come i mercati. E per fortuna, proprio in questi giorni – conclude il presidente SIMeVeP – nel sud-est asiatico hanno vietato tali condizioni di stretta convivenza tra esseri umani e animali in situazione di sovraffollamento».
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