Un articolo apparso su Nature evidenzia una nuova prospettiva di ricerca: dalle analisi delle acque scure si potrebbe individuare la presenza di contagio in brevissimo tempo
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità è giusto iniziare a pensare e a discutere di una fase due: l’emergenza Coronavirus potrebbe aver superato la sua fase di picco. Tuttavia, come sottolinea un articolo apparso su Nature, le misure «di controllo dell’infezione, come il distanziamento sociale, probabilmente abbatteranno l’attuale pandemia, ma il virus potrebbe tornare una volta che queste misure saranno rimosse». Più di dodici gruppi di ricerca al mondo stanno però lavorando su un’ipotesi interessante, che potrebbe aiutarci a scovare eventuali nuove concentrazioni di cariche virali in modo tale da consentire una rapida azione preventiva: l’analisi delle acque fognarie.
Nelle feci umane, infatti, si possono accumulare considerevoli quantità di Rna virale; analizzare i depositi delle acque scure riesce a monitorare gli scarti di oltre «un milione di persone», spiega un contenuto pubblicato sul sito web della più importante rivista scientifica al mondo. Tracce del virus sono finora state rinvenute «in Olanda, negli Stati Uniti e in Svezia». Fra l’altro, l’analisi delle acque di scarto riesce anche a superare un problema ormai all’attenzione dell’opinione pubblica, ovvero il fatto che non tutti i cittadini vengono raggiunti dai test, dai tamponi, dai censimenti epidemici promossi dalle autorità sanitarie.
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Ulteriore punto a favore, affermano gli studiosi coinvolti, sta nel fatto che la presenza di carica virale è riscontrabile negli scarti umani molto prima che i sintomi si manifestano: «Gli studi hannoe dimostrato che i sintomi di SARS-CoV-2 possono apparire nelle feci entro tre giorni dall’infezione – afferma Tamar Kohn, virologo ambientale all’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia con sede a Losanna -. Tracciare le particelle virali nell’acqua di scarto può dare alle autorità di salute pubblica il vantaggio riguardo alla decisione sull’introdurre o meno misure quali il lockdown. Sette o anche dieci giorni di anticipo possono davvero fare la differenza, vista la severità di questo fenomeno».
Non si tratta, come sempre, di una soluzione perfetta. Innanzitutto i problemi di misurazione non sembrano pochi: «I ricercatori dovranno individuare quanto RNA virale è espulso tramite le feci, e di lì estrapolare il numero di persone infette nella popolazione, calcolandolo sulla base della concentrazione». Vi sono poi dei problemi relativi alla tempistica: «I ricercatori dovranno poi – conclude Nature, citando gli esperti della australiana Queensland Alliance for Environmental Health Sciences – assicurarsi di star guardando un campione rappresentativo di quanto viene espulso dalla popolazione e non solo una istantanea temporale».
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