Intervista esclusiva al Ten. Col. Marco Lastilla, a capo della task force dell’Aeronautica Militare che ha provveduto al rimpatrio del medico di Emergency in biocontenimento dalla Sierra Leone allo Spallanzani di Roma
Fa ancora paura Ebola, in tutto il mondo e ora anche all’Italia, che da due settimane segue con apprensione gli alti e bassi del suo “paziente zero”, Fabrizio. Il medico siciliano di Emergency è stato rimpatriato dopo aver contratto il virus in Sierra Leone, dove era operativo da circa due mesi, in piena emergenza. L’intera operazione, portata a termine dall’Aeronautica Militare, ha messo in luce una storia: una storia di eccellenza, tutta italiana.
Ed è questa realtà che oggi vogliamo raccontarvi, con l’intervista esclusiva – rilasciata alle nostre telecamere – al Ten. Col. Marco Lastilla, medico specializzato in malattie infettive presso il servizio sanitario del comando logistico dell’Aeronautica Militare. Lastilla era a capo della missione che ha riportato in Italia il medico, dal prelevamento in biocontenimento a Freetown (Sierra Leone) all’arrivo in aereo a Pratica di Mare, fino all’ospedale Spallanzani, dove è attualmente ricoverato. Le procedure di prelevamento, trasporto, e la speciale attrezzatura utilizzata, vengono accuratamente descritte dalle parole di Lastilla e dal video pubblicato in esclusiva dal nostro giornale.
Quali meccanismi e apparecchiature specifiche permettono questo trasporto?
Il nostro team è composto da 12 unità, tra personale medico – infermieristico e personale addetto alla decontaminazione: tutti professionisti altamente qualificati e preparati. Lavoriamo con barelle particolari, dotate di sistemi isolati certificati per i trasporti aerei, che consentono da un lato il trasporto in sicurezza del paziente e dall’altro la gestione clinica durante il volo, che in questo caso è durato più di sette ore. La barella è composta da un telaio rigido e da un envelope, una membrana in PVC trasparente che isola ma al tempo stesso consente la visibilità e la gestione del paziente. Il ricambio d’aria è garantito attraverso filtri ad alta efficienza, e la pressione interna è negativa: un fattore fondamentale grazie al quale, in caso di rottura, l’aria tende a rimanere all’interno e non contamina l’ambiente circostante.
Quanto è durato il viaggio e quali sono state – se ci sono state – le maggiori criticità che vi siete trovati ad affrontare?
La missione è durata complessivamente ventisei ore, dal momento dell’allerta al rientro in Italia. Il trasporto, invece, è durato circa sette ore. Il paziente era in stato febbrile, anche se in discrete condizioni. E’ stato assistito, gestito, trattato ed alimentato durante il volo. La fase più complessa è stata sicuramente il momento del prelevamento: il team è uscito dal velivolo indossando i dispositivi di protezione individuale ed ha inserito nell’isolatore il paziente, che viene quindi sollevato e caricato a bordo. Dopo questa “messa in sicurezza” il personale può procedere a decontaminarsi. Durante l’assistenza in volo, infatti, si è liberi da dispositivi e si lavora con l’isolatore.
Dalle immagini emerge la grande cura e l’attenzione dedicata a tutto il procedimento. State seguendo anche il decorso della malattie del paziente?
Sì, siamo in contatto con i colleghi dello Spallanzani. Si tratta, com’è noto, di una patologia estremamente complessa, che ha i suoi tempi, e che richiede cure sperimentali. Più passano i giorni, più si può ragionevolmente sperare in una guarigione, ma il caso resta davvero impegnativo.