Il paziente rientrava da un soggiorno in Liberia. Sospetti di contagio anche in Europa
Era solo questione di tempo”, dicono gli esperti. E in fondo era la prospettiva sin dall’inizio temuta dal mondo intero. Certo è che adesso, con la notizia del primo caso di infezione da Ebola registrato negli Stati Uniti, il virus comincia a far davvero paura. E l’allarme cresce anche alla luce delle notizie delle ultime ore relative a sospetti contagi in Spagna.
Quella che prima era un’emergenza che, per quanto grave, restava confinata in un mondo a noi lontano e già disastrato, come l’Africa, ora spinge a interrogarsi su quanto sia incombente la minaccia di una diffusione anche nel Nord America: quella parte di globo che, per antonomasia, di epidemie apocalittiche è stata protagonista solo al cinema.
Il primo paziente sul territorio statunitense affetto da Ebola conclamato – dopo una dozzina di falsi allarmi – si chiama Thomas Eric Duncan, quarantenne di origini liberiane. Proprio al ritorno da un viaggio in Liberia – il Paese più flagellato dal virus – avrebbe sviluppato i sintomi, ed è stato poi ricoverato al Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas, dove si trova attualmente in gravi condizioni. La struttura, oltre a predisporre l’isolamento per il soggetto, ha immediatamente attivato tutte le procedure di massima allerta per impedire il rischio di contagio ad altri pazienti, al personale medico e sanitario, ai volontari e ai visitatori. Il paziente, inoltre, verrà trattato con i nuovi farmaci sperimentali che, in molti casi, stanno dando riscontri positivi.
In seguito alla notizia, diramata dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Atlanta, il presidente USA Barack Obama ha discusso con il direttore dell’Istituto, Tom Frieden, “dei rigidi protocolli di isolamento in base ai quali viene curato il paziente e degli sforzi per rintracciare i contatti del paziente per mitigare i rischi di ulteriori casi”. Contatti che, al momento, sarebbero circa 80, tra cui alcuni bambini. Per contenere Ebola, frenarne il contagio e debellare i focolai in Africa, gli Stati Uniti avevano già deciso di inviare nelle regioni flagellate soldati, attrezzature sanitarie e ospedali da campo, ponendosi in prima linea nella lotta al virus. Una lotta che da oggi, però, dovrà essere combattuta anche in casa.