Oltre duemila infettati in Congo, l’OMS ha dichiarato emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Il presidente della Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali sottolinea: « Il vaccino c’è e sarebbe stato possibile forse usarlo meglio e in maniera più vasta di quanto fatto sinora»
Pochi giorni fa il Comitato d’Emergenza previsto dal Regolamento Sanitario Internazionale (RSI 2005) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha valutato che l’attuale epidemia da virus Ebola nelle province di Nord Kivu e Ituri in Repubblica Democratica del Congo (RDC) costituisce un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Il rischio per i paesi europei resta basso ma l’attenzione è massima. Anche per questo il Ministero della Salute ha diramato delle raccomandazioni per le persone che vivono o si recano nelle zone colpite: evitare ogni contatto con pazienti sintomatici, coi loro fluidi corporei e coi corpi o liquidi corporei di persone decedute, non consumare carne di selvaggina ed evitare i contatti con animali selvatici vivi o morti, lavare e sbucciare (quando appropriato) frutta e verdura prima di consumarle, lavarsi frequentemente le mani con acqua e sapone o con prodotti antisettici, avere rapporti sessuali protetti. «La possibilità di importare casi da un’area geografica in fondo piuttosto remota e con scarsissimi contatti con aeroporti internazionali è molto limitata», sottolinea a Sanità Informazione Massimo Galli, Presidente della Simit (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) che aggiunge: «Mi aspetto che prima o poi toccherà reimportare qualche espatriato che si trova lì e che non è stato vaccinato per tempo».
Febbre, diarrea, vomito e cefalea, ma anche un malessere generale, sono i primi sintomi del virus Ebola. Proprio le modalità di prevenzione attraverso il riconoscimento della sintomatologia e la gestione del contagio sono alla base del primo corso italiano ECM totalmente dedicato al virus Ebola. Il corso Fad (Formazione a Distanza) è curato da Consulcesi Club grazie anche alla collaborazione del dottor Fabrizio Pulvirenti, primo italiano a contrarre la malattia nel 2016, quando con Emergency era in Sierra Leone
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Presidente, parliamo del ritorno dell’epidemia di Ebola: addirittura è stata diramata un’allerta a Fiumicino. Questo virus non si riesce a debellare nonostante il vaccino. A che punto siamo?
«Il vaccino c’è e sarebbe stato possibile forse usarlo meglio e in maniera più vasta di quanto fatto sinora. Purtroppo il focolaio importante che ha passato abbondantemente i duemila casi nella Repubblica Democratica del Congo si è manifestata in un’area geografica politicamente assai instabile, per usare un eufemismo, tanto è vero che ci sono state sommosse o peggio attacchi contro le equipe che andavano per proporre il vaccino e limitare l’ulteriore diffusione della malattia. Questo è un ennesimo spill over, una ennesima fuoriuscita dalla profonda foresta di questo virus che si dimostra capace sempre più di manifestarsi in questo modo. Questo è accaduto in un’area abbastanza remota e questo ha fatto sì che per un numero di mesi importante l’esistere dell’epidemia non abbia avuto l’attenzione che meritava da parte dei media e forse nemmeno fino in fondo delle autorità sanitarie. Perché è scattata dopo il duemillesimo caso l’emergenza internazionale? Solo la contiguità dell’epidemia con un altro paese, l’Uganda, ha fatto sì che comunque intervenissero delle preoccupazioni in questo campo. È un po’ triste dire che per parecchi mesi la comunità internazionale non si è particolarmente interessata a questo focolaio di Ebola in Congo nonostante che questa sia la seconda come numero di persone colpite da quando ebola si conosce e da sola faccia il numero di tutte le epidemie che hanno precedute quella grandissima di 28mila persone colpite nei tre paesi dell’Africa occidentale: Sierra Leone, Liberia e Guinea, iniziata nel 2014».
Ci sono rischi per l’Europa?
«Francamente la possibilità di importare casi da un’area geografica in fondo piuttosto remota e con scarsissimi contatti con aeroporti internazionali è molto limitata. Certamente la continuità con l’Uganda e il fatto che in Uganda esistano aeroporti internazionali rappresenta un rischio. Ma dai confini tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo e l’aeroporto pensare ad un passaggio facile di casi è cosa complicata. Mi aspetto che prima o poi toccherà reimportare qualche espatriato che si trova lì e che non è stato vaccinato per tempo».