La candidata alla presidenza della regione Lazio parla delle sue priorità: riparametrare l’intra moenia e aprire tutte le agende di tutti gli accreditamenti pubblici. Poi aggiunge: «Creeremo sinergie con le università per la formazione dei nuovi professionisti»
È stata la prima capogruppo alla Camera dei deputati per il Movimento Cinque Stelle, protagonista dell’incontro del 2013 con l’allora segretario del Pd Pierluigi Bersani andato in diretta streaming e conclusosi con una fumata nera. Ora Roberta Lombardi è candidata per i pentastellati alla presidenza della Regione Lazio e sulla sanità ha un programma ambizioso: dall’abbattimento delle liste di attesa allo sblocco delle assunzioni di medici, infermieri e operatori sanitari, oltre alla riduzione dei tempi di intervento al pronto soccorso. Un piano che in qualche modo trae ispirazione dal programma nazionale dei Cinque Stelle.
Onorevole Lombardi, qual è la prima cosa che farete in caso di vittoria sul tema della sanità?
«Innanzitutto abbatteremo drasticamente le liste di attesa attraverso un programma in cinque punti che si basa fondamentalmente sulla rivitalizzazione dei servizi della sanità istituzionale, quindi la sanità pubblica. Riparametrare l’intra moenia in base a quella che è la prestazione istituzionale, andare a vietare l’intra moenia allargata che sfugge dal controllo del controllore che è la Regione e andare a pubblicare dei bilanci trasparenti. E vogliamo aprire tutte le agende di tutti gli accreditamenti pubblici e privati».
Negli ospedali del Lazio che sta visitando in questi giorni che situazione ha trovato?
«Una situazione difficile dove la buona volontà degli operatori della sanità rende possibile ancora garantire con molta difficoltà delle cure alla popolazione. Ho trovato tanti cittadini che ci hanno raccontato la difficoltà di accesso alle cure, soprattutto nella prestazione pubblica. L’impossibilità di avere alcune prestazioni in tempi ragionevoli e quindi l’obbligo a cui il cittadino è sottoposto di doversi rivolgere o alla sanità privata, se se lo può permettere, andare fuori regione o addirittura scegliere di non curarsi più».
Il 23 febbraio forse ci sarà lo sciopero dei medici. Loro protestano perché il contratto viene rinnovato da dieci anni, ci sono diversi motivi. Ma hanno lanciato anche l’allarme: tra 5 anni 45mila medici andranno in pensione. Su questo cosa pensate di poter fare nel Lazio?
«Partiamo dal dato che qui ci sono 8mila medici in meno rispetto a quello che sarebbe il fabbisogno. Quindi quel dato di 45mila fra 5 anni è un processo che è già in corso e che la politica ha favorito. Perché si va verso un concetto di sanità privata in cui solo le persone abbienti possono curarsi, un po’ come il sistema sanitario americano purtroppo, che si basa tutto sul sistema della sanità privata e delle assicurazioni private. Noi abbiamo invece la ferma volontà di ricominciare a dare sanità accessibile pubblica facendo lavorare meglio i professionisti presenti, andando a fare una sinergia con le università per la formazione dei nuovi professionisti, stabilizzare quelli che attualmente lavorano in modo che non siano costretti a doversene andare all’estero».