Topi, mosche e cinghiali: non è la ricetta per una pozione magica ma «le specie animali che attirate dai rifiuti urbani, possono proliferare e diventare vettori di malattie per l’uomo». Lo spiega Enrico Di Rosa, Segretario della SITI e referente dell’UOC Servizio igiene sanità pubblica dell’Asl Roma 1
“La Capitale dei rifiuti”. Se Roma fosse un libro, così titolerebbe. Le foto che sono circolate sui social negli ultimi mesi – soprattutto nel periodo delle festività natalizie – hanno raccontato di una città presa d’assalto, non solo dai turisti, anche dall’accumulo di rifiuti. Un’emergenza che ha raggiunto l’apice con l’incendio dell’impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) in via Salaria nella prima metà di dicembre, che ha fatto scattare un allarme, in realtà già innescato, ma che, almeno per adesso, non ha trovato soluzione nemmeno parziale. Un’emergenza urbana e sanitaria di cui abbiamo parlato con Enrico Di Rosa, Segretario della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica e referente dell’UOC Servizio igiene sanità pubblica (SISP) dell’ASL Roma 1.
Partiamo dal problema a monte: perché a Roma, differentemente da altre città europee, non si riesce ad adottare una politica efficace per lo smaltimento dei rifiuti?
«Iniziamo con il dire che tutte le grandi capitali europee hanno un termovalorizzatore per la gestione dei rifiuti. Le uniche città che non lo hanno sono Roma e Atene. Io credo che il problema romano sia di due tipologie: il primo di carattere sistemico e il secondo di processo. Con problema di sistema mi riferisco alla difficoltà di trovare un adeguato conferimento finale ai rifiuti che vengono raccolti e, allo stesso tempo, la problematicità di gestire adeguatamente una raccolta differenziata. I rifiuti dovrebbero essere mandati all’estero o comunque in altre Regioni, ma questo processo non si riesce ad attuare causando conseguenze collaterali come l’accumulo e il ristagno. Per quanto riguarda invece il problema di processo, questo è connesso al problema di sistema ma diverso: il fatto che i cassonetti romani siano spesso danneggiati, per esempio senza coperchi funzionanti in grado di isolare le scorie, oppure la lentezza nello smaltimento che favorisce l’accumulo, sono tutte situazioni che favoriscono il degrado. Sicuramente si tratta di problemi di ordine amministrativo e governativo, sono difficoltà oggettive di complicata risoluzione, dunque non mi piace dare giudizi facili, tuttavia è innegabilmente una situazione che necessita d’intervento».
Di recente l’Associazione nazionale presidi e l’Ordine dei medici di Roma ha scritto una lettera alle istituzioni parlando di rischio per la salute, soprattutto in riferimento a condizioni di degrado vicino alle strutture scolastiche. C’è effettivamente questo rischio?
«L’accumulo incontrollato di rifiuti solidi urbani e l’abbandono di sacchetti in strada, può comportare vari ordini di fenomeni con possibili conseguenze di carattere sanitario: prima fra tutti la formazione di sostanze odorigene per fenomeni fermentativi e putrefattivi (fenomeno questo molto accentuato dal caldo). Questo processo in genere non innesca situazioni di elevata tossicità, ma causa grave disagio e forte preoccupazione nella popolazione, che, soprattutto per esposizione prolungate, può determinare fenomeni di stress. Il nervosismo in soggetti particolarmente delicati, può sfociare nel fenomeno di annoyance (ndr. alterazioni delle condizioni psicofisiche dei soggetti esposti a condizioni di malessere), dunque l’impatto sulla salute può verificarsi in questo senso. Inoltre, la rottura dei sacchetti con spargimento di rifiuti, può attrarre le specie sinantropiche (topi, uccelli ecc.) che possono essere a loro volta vettori di malattie per l’uomo. Addirittura potrebbero arrivare più numerosi i cinghiali che adesso sono sporadicamente presenti nelle zone periferiche. Queste situazioni sono sicuramente un segnale di degrado urbano e di grave deterioramento del livello igienico sanitario cittadino, e bene ha fatto l’ordine dei medici di Roma a segnalarlo, auspicando un tempestivo rientro alla normalità per la tutela della salute pubblica. Per altro queste situazioni innescano un circolo vizioso e compromettono la raccolta differenziata, aggravando il già problematico lavoro di raccolta e smaltimento. Ci sono, quindi, sicuramente dei rischi di carattere sanitario, che comunque non configurano, almeno per adesso, una situazione di emergenza sanitaria come da alcune parti si è paventato».
Si è parlato di rischio di diffusione della ‘leptospirosi’, malattia infettiva acuta di trasmissione animale che può avere anche gravi conseguenze sull’organismo umano. Una diffusione a livello epidemico è un’ipotesi remota?
«La leptospirosi è ormai una malattia rara con un’incidenza annua inferiore ad 1 caso su un milione di abitanti. I casi che si registrano in Italia sono legati al contatto con acque inquinate da urine di topi o altri animali. Gli ultimi dati di cui siamo in possesso riferibili all’anno 2016, attestano 38 casi in Italia. Non si registrano tendenze all’aumento dei casi umani. Non ritengo, allo stato attuale, che ci sia il rischio reale di un aumento della sua diffusione. Tra l’altro a Roma vige un’ordinanza sindacale, riproposta annualmente, per la prevenzione del proliferare dei topi che prevede che ogni condominio attui un piano di controllo che si dovrebbe accompagnare ad un’azione pubblica sulle aree urbane. Questa ordinanza è abbastanza rispettata (come la disinfestazione dalle zanzare in estate), ma è chiaro che a queste misure va affiancato un corretto smaltimento dei rifiuti, altrimenti risulta tutto inutile. Anche la salmonellosi (ndr. malattia infettiva che colpisce l’apparato digerente) può essere chiamata in causa in queste situazioni; ma ripeto, si tratta di malattie che comunque rimangono rare ed episodiche e che fortunatamente non mostrano nessuna tendenza all’aumento».
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Per quanto riguarda il rischio d’incendio invece l’accumulo di rifiuti può rappresentare una bomba innescata?
«I fenomeni di combustione dei rifiuti accidentale o dolosa con liberazione di sostanze tossiche come IPA (ndr. idrocarburi policiclici aromatici), sono dannosi per la salute umana. Il rischio ovviamente è maggiore nella stagione secca, quando una sigaretta buttata in un cassonetto trova terreno fertile per generare un incendio, mentre nella stagione umida questa possibilità è più remota. Certo è che la combustione di queste sostanze può rappresentare un pericolo per tutti e soprattutto per chi soffre di malattie respiratorie».