Sono tre i voli intercontinentali su cui, in questi giorni, centinaia di passeggeri si sono sentiti male. Come comportarsi in questi casi? «Se succedesse nel nostro Paese sarebbe un problema, in assenza di un coordinamento intersettoriale ognuno rivendica la propria autorità». Lo spiega Luca Rosi, responsabile dell’Unità Affari Internazionali dell’Istituto Superiore di Sanità
Tosse convulsa e febbre molto alta: questi i sintomi accusati dai passeggeri di tre voli intercontinentali. È successo in questi giorni su un aereo della compagnia Emirates partito da Dubai direzione New York e su due voli dell’American Airlines in partenza da Monaco e Parigi e diretti entrambi a Philadelphia. Arrivati nelle rispettive mete di destinazione, gli aerei sono stati circondati da ambulanze e personale in tuta ‘hazmat’ (utilizzata in caso di pericolo materiali infetti) per valutare i rischi di una possibile epidemia. Inizialmente si è parlato di influenza, poi d’intossicazione alimentare, ad oggi non è ancora chiara la causa dei malori e dopo aver valutato seriamente la quarantena per i viaggiatori e lo staff a bordo, si è optato per il ricovero dei malati nelle strutture sanitarie circostanti – con tutte le precauzioni del caso – e visitare attentamente i passeggeri incolumi. Questo in America, e se succedesse in Italia?
«Se una situazione del genere si verificasse in Italia sarebbe un problema. Infatti non esiste un’autorità di coordinamento, quella che l’OMS chiamerebbe ‘coordinamento intersettoriale’», spiega Luca Rosi, responsabile dell’Unità Affari Internazionali dell’Istituto Superiore di Sanità, il dipartimento dell’Istituto che segue il processo di internazionalizzazione della ricerca biomedica e clinica e della capacità di risposta alle principali minacce sanitarie.
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«Non essendoci un protocollo definito che indichi un’autorità competente di riferimento, tutti gli attori coinvolti nell’emergenza rivendicano la propria autorità che hanno per ruolo o per diritto – prosegue il dottor Rosi -. Il pilota, che in linea di massima ha funzione di comando a bordo, può esercitare la sua funzione dando delle direttive; le autorità aeroportuali possono voler dare altre indicazioni; poi polizia, vigili del fuoco ed altre figure coinvolte nell’emergenza possono voler esercitare la loro facoltà e questo crea grande confusione».
Questa mancanza è solo italiana? «Purtoppo riguarda tutta l’Europa – continua Rosi -, ma in particolare è il nostro Paese a distinguersi per mancanza di protocolli, o meglio, esistono manuali procedurali come ‘il libro rosso dell’autorità aeroportuale’ ma rimane teoria e non pratica, soprattutto considerando che le indicazioni più dettagliate e accurate sono riferite ad altre emergenze come evacuazione per incendi, guasti, eccetera, ma l’aspetto sanitario rimane in disparte».
«Il dipartimento dell’Istituto Superiore di Sanità a cui appartengo ha proposto vari piani per prevenire o mitigare il rischio, abbiamo promosso anche casi studio specifici dai quali è risultata evidente una mancanza di interrelazione fra le parti e di norme procedurali da seguire, ma per adesso non ci sono grandi svolte. Poco tempo fa abbiamo proposto, insieme all’OMS, di mettere in dotazione su tutti gli aerei di linea e intercontinentali delle mascherine antivirus, non dico di chissà che potenza, ma almeno in grado di proteggere da batteri anaerobi. Questa proposta è stata bocciata perché ritenuta troppo costosa e poco utile».
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«La verità è che noi in Italia abbiamo procedure ancora molto meccaniche – prosegue – che allo stesso tempo non ci permettono di controllare qualcosa di molto più rischioso e pericoloso ma soprattutto imprevedibile. All’ISS abbiamo fatto tavoli e meeting intersettoriali tra Usmaf (uffici che si occupano di sanità marittima, aerea e di frontiera dipendenti dal ministero della Salute), vigili del fuoco, polizia, Capitaneria di porto, Asl e 118, per mettere insieme tutti gli attori di sistema e arrivare ad una soluzione che purtroppo oggi ancora non esiste. In conclusione, io entro nel merito di quello che possiamo fare noi, cioè ricerca, e cercare di introdurre strategie di prevenzione e mitigazione del problema che però poi devono essere accolte e messe in pratica dagli attori, altrimenti non si troverà mai la quadra».