Gianfranco Sanson, infermiere e tutor universitario: «L’infermiere di pronto soccorso non gestisce solo le emergenze, ma anche le carenze dell’assistenza territoriale. Necessario migliorare la formazione post-laurea e adeguare i contratti al livello di preparazione individuale»
«L’infermiere è la figura professionale numericamente più presente nei pronto soccorso. Il suo ruolo è trasversale e cruciale: si occupa del triage – che permette di selezionare i pazienti secondo classi di emergenza crescenti – garantisce un’attesa sicura e partecipa all’intervento clinico». Gianfranco Sanson, infermiere e tutor al corso di laurea Infermieristica dell’università di Trieste, parla per esperienza. Ha lavorato in prima linea dal 1987, a bordo di ambulanze ed elicotteri del 118, nel 2011 è stato nominato responsabile infermieristico del Sistema di Emergenza territoriale 118 di Trieste.
I compiti che l’infermiere ha all’interno dei pronto soccorso, dunque, non solo li conosce, ma li ha svolti e diretti. Mansioni che non si limitano ad una gestione della medicina di emergenza: «L’infermiere che lavora all’interno di un pronto soccorso, spesso, risponde anche a delle esigenze non propriamente “urgenti”. Molti degli accessi – ha spiegato Sanson – sono legati a carenze di assistenza a livello territoriale. Persone che non trovano – o pensano di non trovare – le risposte adeguate nelle strutture distrettuali, negli studi dei medici di medicina generale, o per liste di attesa troppo lunghe, vanno al pronto soccorso, causandone il sovraffollamento».
Una criticità alla quale potrebbe rispondere lo stesso infermiere: «attraverso una diffusione omogenea su tutto il territorio nazionale dell’infermiere di famiglia e di comunità – ha spiegato il tutor dell’Università di Trieste – sarebbe possibile prevenire queste situazioni prima che si manifestino. Un ruolo specifico che, pur sembrando esulare dal campo dell’emergenza, ha una stretta correlazione con i compiti dell’infermiere di pronto soccorso».
E mentre questa figura professionale compie uno sforzo quotidiano per adattarsi alle nuove esigenze della popolazione, alle richieste di assistenza di cittadini sempre più anziani, costretti a convivere con patologie croniche, la formazione resta indietro. «La laurea triennale – ha detto Sanson – non prepara l’infermiere ad affrontare in modo specifico le situazioni di emergenza-urgenza. Certamente getta delle basi solidissime su cui costruire. Gli infermieri italiani sono molto richiesti in strutture di tutta Europa proprio per la propria solida formazione di base».
LEGGI ANCHE: «CHI SVUOTA IL PAPPAGALLO…?». RISATE E MEMORIE IN CAMICE BIANCO DI GIACOMO PRIMA DI ALDO E GIOVANNI
Ad essere inadeguata è l’offerta formativa successiva alla laurea triennale: «La formazione post-base, in Italia – ha sottolineato il tutor dell’Università di Trieste – è molto carente. I corsi di laurea magistrale e specialistica sono molto centrati sull’aspetto organizzativo-formativo e molto poco su quello clinico. I master di primo e secondo livello, invece, sono organizzati localmente, strutturati sulle esigenze delle singole aree territoriali, non condivise a livello nazionale. Si stenta ad avere una formazione che dia veramente una marcia in più all’infermiere».
Ma a rendere poco appetibile la formazione post laurea per infermieri non è solo la scarsa offerta formativa: «questi titoli di specializzazione – ha aggiunto Sanson – non sono spendibili nella pratica professionale. Almeno non in termini di riconoscimento economico. Non esistono degli strumenti contrattuali che riconoscano un adeguamento dello stipendio al livello di preparazione e molto raramente – ha concluso – le aziende distribuiscono le risorse disponibili valutando il percorso di studi dei singoli professionisti».