La community “Bussola delle stelle” aiuta le famiglie a orientarsi nel difficile iter diagnostico e terapeutico
Le encefalopatie epilettiche complesse sono patologie gravi e rare, che vengono spesso diagnosticate nei primi mesi o nei primi anni di vita dei bambini scagliando letteralmente le famiglie dei piccoli pazienti in una tempesta. Tanti e diversi sono infatti i sentimenti che una famiglia si trova ad affrontare quando arriva, per il proprio bambino, una diagnosi di patologia grave e rara: paura, angoscia, stordimento, difficoltà nell’orientarsi fra informazioni differenti e faticose.
“Bussola delle stelle” è la prima community pensata e voluta per diventare punto di riferimento e creare consapevolezza su queste sindromi, che nasce proprio per accompagnare i genitori nel percorso che va dalla diagnosi, talvolta lunga e complessa, fino all’ingresso nell’età adulta. Grazie a un sito, un blog e a diversi strumenti digitali, le famiglie e i caregiver avranno un luogo in cui confrontarsi, informarsi, fare rete e condividere le proprie esperienze, per aiutarsi a non perdere la rotta.
Sanità Informazione, insieme al dottor Maurizio Viri, Direttore Neuropsichiatria Infantile presso l’AOU Maggiore della Carità di Novara, ha approfondito il tema delle encefalopatie epilettiche e della loro presa in carico. «Si tratta di sindromi rare, che insorgono entro il primo anno di vita, talvolta entro il primo mese. L’encefalopatia è una condizione di sofferenza del cervello dovuta a cause diverse: una sofferenza al momento del parto, una sindrome metabolica, oppure – e questa è la causa più frequente – una mutazione genetica. Nel caso delle encefalopatie epilettiche la presenza delle crisi epilettiche in aggiunta ad una più o meno consistente alterazione delle attività cerebrali condiziona maggiormente il quadro clinico dell’encefalopatia di sviluppo».
«In prima battuta – spiega Viri – ciò che porterà i genitori a rivolgersi a un pediatra per una diagnosi di primo livello sarà un ritardo nello sviluppo cognitivo e/o motorio. Dopodiché saranno indirizzati ad una valutazione neuropsichiatrica, in cui l’osservazione del sintomo, cioè la crisi epilettica nel suo fenomeno parossistico, va di pari passo con l’osservazione dell’attività cerebrale attraverso lo studio encefalografico. Questo ci permette di fare una diagnosi – prosegue – ma la parte più complessa è quella che riguarda l’individuazione delle cause, da cui poi dipende anche la scelta del trattamento: la risonanza magnetica, gli esami del sangue e delle urine aiutano a determinare una casa metabolica oppure genetica. È chiaro che l’esito di una risonanza è immediato, l’indagine metabolica richiede qualche giorno, ma quella genetica richiede settimane, addirittura mesi, allungando i termini per una diagnosi precisa».
«Rispetto all’epilessia non associata ad encefalopatia, che colpisce mezzo milione di persone in Italia e in cui il paziente ha uno sviluppo cognitivo e psichico nella norma – spiega Viri – le encefalopatie epilettiche sono sindromi che si associano nella stragrande maggioranza dei casi a disabilità intellettiva di grado variabile, a disturbi del comportamento, o anche, come nel caso della Sclerosi Tuberosa, a patologie multisistemiche che interessano vari organi. È chiaro quindi – osserva il neuropsichiatra – che l’iter terapeutico deve essere multidisciplinare sia in base agli organi interessati, sia per intervenire sui vari aspetti della disabilità: il trattamento del sintomo epilettico (che, ricordiamo, non può essere annullato ma solo mitigato dal momento che si tratta di epilessie farmacoresistenti) deve andare di pari passo con le attività quali logopedia, psicomotricità, fisioterapia, eccetera».
«Il trattamento dei pazienti non si esaurisce nella prescrizione farmacologica – sottolinea Viri – ma coinvolge tutta una serie di aspetti emotivi e psicologici proprio per la delicatezza delle patologie in questione, della “doccia fredda” che rappresentano per le famiglie, e della necessità di mantenere il più alta possibile la qualità della vita di questi bambini. Le famiglie devono essere sostenute e guidate in tutto l’iter diagnostico e riabilitativo. Quello a cui invece troppo spesso ancora si assiste – osserva Viri – è un percorso in cui i pazienti e le loro famiglie sono lasciati a muoversi autonomamente. Viceversa – conclude – è importante che tutti i professionisti dell’età evolutiva facciano rete intorno a queste famiglie e possano lavorare in sinergia».
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