Salute 1 Ottobre 2021 10:33

Entro il 2050 il 75% della popolazione mondiale si trasferirà nei centri urbani. Ma in città ci si ammala di più

Lenzi (Health City Institute): «Riscrivere medicina, clinica e patologia mediche pensando alla città come luogo principale di residenza. Prevenzione cardiovascolare fondamentale per ridurre del 25% la mortalità prematura per malattie non trasmissibili, come raccomandato dall’Italian Urban Health Declaration ai Governi dei Paesi del G20»

di Isabella Faggiano
Entro il 2050 il 75% della popolazione mondiale si trasferirà nei centri urbani. Ma in città ci si ammala di più

Chi, negli ultimi decenni, si è spostato dalla campagna alla città in cerca di una vita migliore, non poteva di certo immaginare che avrebbe rischiato di finire nel mirino dei killer del terzo millennio: le malattie cardiovascolari. Patologie che uccidono, ogni anno, 18 milioni di persone nel mondo, 230 mila in Italia (dati Istat).

La vita in città

«Attualmente più del 50% della popolazione mondiale vive in città e, nel giro di 20-30 anni, questa percentuale arriverà a quota 75», spiega Andrea Lenzi, presidente dell’Health City Institute. Un aumento che si ripercuoterà anche sulla salute umana: si stima che, entro il 2030, le patologie cardiovascolari causeranno la morte di 24 milioni di persone nel mondo, ogni anno, con una media di oltre 66 mila al giorno ed un costo globale totale che passerà da circa 863 miliardi di dollari nel 2010 a oltre 1 trilione, una cifra che supera il Pil di Paesi Bassi, Svizzera, Svezia o Turchia (The Global Economic Burden of Non-communicable Diseases).

Le strategie di prevenzione

«È necessario che tutta la medicina, la clinica e la patologia mediche siano riscritte pensando alla città come il luogo principale di residenza della popolazione – continua Lenzi -. Per contribuire a questo obiettivo, cinque anni fa, è stato istituito l’Health City Institute che riunisce medici, urbanisti, architetti, sociologi, epidemiologi, amministratori locali».

“Nuove strategie di prevenzione cardiovascolare nel post-pandemia: la sfida parte dal territorio” è il più recente degli impegni patrocinato dall’Health City Institute e organizzato da Novartis Italia. «La pandemia, infatti – aggiunge Massimo Volpe, presidente della Società Italiana per la prevenzione cardiovascolare (SIPREC) – ha causato innegabili ritardi nella diagnosi e nella cura delle patologie cardiovascolari. Per questo è urgente ripensare a strategie di contrasto e avanzare proposte concrete per recuperare il ritardo  accumulato».

L’Italian Urban Health Declaration

La prevenzione cardiovascolare è fondamentale anche per rendere più realistica la riduzione del 25% della mortalità prematura da malattie non trasmissibili, come raccomandato dall’Italian Urban Health Declaration ai Governi dei Paesi del G20. Un obiettivo di prevenzione e controllo confermato nella dichiarazione finale dei ministri al G20 Salute lo scorso 12 settembre ma che, alla luce della situazione pandemica, rischia di essere seriamente messo in discussione.

Dopo un calo della mortalità negli ultimi decenni, infatti, cardiopatie ischemiche e malattie cerebrovascolari sono di nuovo in aumento. «Per arginare questa tendenza – dice Volpe – è necessario mettere in atto sia strategie di politica sanitaria che coinvolgano tutta la popolazione, sia individuali, agendo in modo diretto sui pazienti più a rischio. Attraverso interventi mirati è possibile rendere un infarto improbabile prima dei 65 anni nelle prossime generazioni, aumentare l’aspettativa media di vita e, soprattutto, permettere che gli ultimi anni della terza età trascorrano all’insegna del benessere. Attualmente, il Sistema sanitario nazionale investe più risorse per la cura delle persone che affrontano gli ultimi anni della propria vita, che durante l’intera esistenza degli stessi individui».

Non solo slogan, ma azioni concrete

«Il piano d’azione – aggiunge Lenzi – deve essere di condivisione multidisciplinare: è impensabile poter fare tutto con la medicina. Sono necessari interventi urbanistici che favoriscano l’attività all’aperto, ma anche strategie farmacologiche che mettano insieme la politica e la scienza, portando la sanità pubblica ad incontrare la prevenzione in senso reale. Prevenzione non significa solo dire “cammina di più, mangia meglio, non bere o non fumare”, ma anche attuare interventi concreti, reali. Proprio come in Inghilterra, dove una multinazionale del farmaco, con il sostegno del sistema sanitario inglese, ha messo in campo una campagna di prevenzione del colesterolo senza precedenti. È solo attraverso queste azioni concrete che potremmo offrire ai nostri figli un futuro “colesterolo free” e libero da tutte le altre patologie cardiovascolari che, ad oggi, è possibile prevenire».

 

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