Per l’ematologo dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo i numeri rientrano nelle statistiche degli anni passati. Nessuna correlazione con Covid o vaccino, si pensa ad una risposta anomala del sistema immunitario. D’Arminio Monforte (ASST Santi Paolo e Carlo) «Sintomi da non sottovalutare? Urine scure e feci chiare e una stanchezza inusuale»
I casi di epatite acuta riscontrati tra i bambini nelle ultime settimane continuano a destare preoccupazione. Tante ancora le incertezze che riguardano natura e diffusione. Dopo l’allarme partito dall’agenzia di sicurezza inglese (UK Health Sicurity Agency) per i 111 bambini tra 0 e 5 anni colpiti da una forma di epatite acuta di origine sconosciuta, casi simili sono stati denunciati in altri paesi europei: 13 in Spagna, 6 in Danimarca, 5 in Irlanda, 4 in Olanda, 2 in Francia, Norvegia e Romania. In Italia ad oggi sono 20 i casi accertati, numeri ancora bassi, ma sufficienti a far scattare una sorta di alert tra istituzioni e mondo scientifico.
«Nulla di misterioso, siamo di fronte a una forma di epatite, patologia nota, che non si riferisce a virus già classificati e per questo si dice che ha origini sconosciute» si affretta a correggere il tiro e abbassare i toni allarmistici, il professor Angelo Di Giorgio, coordinatore area Fegato SIGENP e pediatra epatologo dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Non siamo di fronte ad una nuova emergenza. È fondamentale che passi questo messaggio».
A creare apprensione e preoccupazione però sono i dati provenienti dal Regno Unito dove da gennaio ad aprile sono stati registrati più di cento casi di bambini da zero a cinque anni colpiti da una forma di epatite di origini sconosciute che, nelle forme più gravi, ha reso necessario un trapianto di fegato. Anche di fronte ai numeri il professor Di Giorgio ci tranquillizza e spiega: «Avere bambini e adolescenti che si ammalano di epatiti di origine sconosciuta rientra nella norma, così come una piccola percentuale possa sviluppare una forma grave tale da portare un danno del fegato che renda necessario un trapianto dell’organo. L’unica anomalia in questa vicenda è quanto si è verificato nel Regno Unito dove ci sono stati tantissimi casi in poche settimane, superiori di quattro o cinque volte le normali statistiche».
Differente il caso dell’Italia e degli altri paesi europei dove i casi sono pochi, come rimarca a più riprese l’epatologo del Papa Giovanni XIII di Bergamo: «Come coordinatore di riferimento della Società italiana di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica, ho condotto una indagine telematica su tutto il territorio nazionale a cui hanno risposto 71 centri, da piccoli ospedali a istituti universitari, specialistici e di trapianto e in totale risultano esserci 20 casi di epatiti di origine sconosciuta in età pediatrica che in assoluto sono sovrapponibili al numero di eventi riscontrati negli anni passati».
Se il numero dei bambini colpiti dalla nuova forma di epatite, di cui non si conosce l’origine, è sotto controllo, occorre rilevare però che l’OMS nelle ultime settimane ha ampliato la platea dei soggetti a rischio, facendo rientrare anche gli adolescenti. «Non escludo ci sia qualche caso anche tra i 20 e i 30 anni – ammette Di Giorgio – che sarebbe comunque nella normalità, di sicuro non siamo di fronte a un picco anomalo».
«Nessuna relazione con Covid e vaccino, può essere una risposta del sistema immunitario anomala»
Se il numero dei casi non deve destare preoccupazione, cerchiamo di capire cosa può aver scatenato questa forma di epatite acuta grave. «Di sicuro non sono riferibili al Covid e al vaccino – puntualizza– durante l’epidemia da Sars-Cov-2 abbiamo riscontrato che i bambini trapiantati di fegato che hanno preso il Covid non hanno avuto problemi, così come è da escludere una correlazione con il vaccino perché la maggior parte dei bambini inglesi che hanno avuto l’epatite non erano stati vaccinati. Piuttosto potrebbe essere frutto di una risposta immunitaria anomala».
Circa il 70 percento dei bambini inglesi colpiti dall’epatite acuta ha dato esito positivo al test dell’adenovirus, ma anche su questo punto l’epatologo del Papa Giovanni XXIII ha delle riserve «potrebbe non essere la causa diretta, il virus potrebbe essere entrato e aver attivato il sistema immunitario del bambino, che ha dato una risposta anomala, attaccando il virus, ma anche il fegato». Gli studi sono in corso, c’è chi pensa che il lockdown prima e la mascherina dopo abbiano abbassato le difese immunitarie dei bambini, le ipotesi sono tante, ma nel frattempo Di Giorgio fa alcune raccomandazioni: «Bisogna allarmarsi solo se compare l’ittero, un colorito giallastro della cute e delle mucose. In quel caso bisogna rivolgersi ad un centro ospedaliero, se invece ci sono sintomi come nausea, vomito e malessere generale riferibili ad una gastroenterite, è bene assumere liquidi con vitamine per idratare il corpo ed eventualmente farmaci che migliorano il flusso biliare».
Linee guida del Ministero e allerta negli ospedali
Nessuna correlazione, dunque, con il Covid e i vaccini, ma la pandemia da Sars-Cov-2 ha insegnato che è bene non abbassare la guardia e così il Ministero della Salute, come le Regioni hanno diramato linee guida per il monitoraggio dei casi da epatite acuta di origine sconosciuta. In particolare, l’allerta è alta nel Pronto Soccorso «Una sintomatologia gastrointestinale è da monitorare, in particolare se ci sono urine scure e feci chiare e una stanchezza inusuale che è tipica nelle epatiti – puntualizza Antonella D’Arminio Monforte, direttore Malattie infettive e Tropicali ASST Santi Paolo e Carlo di Milano –. Anche le transaminasi alte sono un campanello d’allarme da considerare».
E nei bambini colpiti dall’epatite di origini sconosciute proprio questo valore è risultato essere molto elevato. «Di fronte ad un caso sospetto dobbiamo raccogliere tutti i materiali e procedere con esami specifici – aggiunge D’Arminio Monforte -. L’attenzione che dobbiamo tenere è alta perché un dieci percento di trapiantati di fegato è un valore importante, non sarà una epatite molto diffusa, ma per chi è costretto al trapianto di fegato significa andare incontro ad una stigmate per tutta la vita, dunque, non dobbiamo trascurare nulla. Questa è l’ennesima riprova che possono sorgere nuove specie di virus in ogni momento».
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