Si sta facendo strada l’ipotesi che possa trattarsi non dei classici virus che danno vita alle epatiti A, B e C, ma di un adenovirus, spesso causa solo di banali raffreddori, che nei bambini può provocare problemi gastrointestinali. Ne parliamo con Indolfi (Meyer), che ha curato il bambino di Prato esaminato in via precauzionale per trapianto di fegato
Le condizioni del bambino di 3 anni di Prato, affetto da una sospetta epatite acuta pediatrica misteriosa, di origine sconosciuta, trasferito dal Meyer di Firenze al Bambino Gesù di Roma, stanno migliorando. A dare la buona notizia, in un’intervista a Sanità Informazione, nel primo pomeriggio di oggi (22 aprile 2022) è la dottoressa Maria Sole Basso del reparto di Epatogastroenterologia e Nutrizione dell’ospedale pediatrico della Santa Sede.
«Il piccolo sta migliorando spontaneamente di ora in ora – dice la dottoressa Basso -. Come di prassi, segue una terapia antibiotica ed una antivirale, senza la necessità di trattamenti supplementari. I risultati degli ultimi esami evidenziano un miglioramento della funzione epatica. Sono ancora in corso, invece, ulteriori accertamenti utili a comprendere la possibile natura dell’infezione che, per ora, resta sconosciuta».
Ad oggi, restano sconosciute anche le cause degli altri casi sospetti di epatite acuta pediatrica. Quelli che si sono verificati, nelle ultime due settimane, in diversi Paesi europei. L’allarme è scattato il 5 aprile scorso quando nel Regno Unito è stato segnalato un aumento di questi episodi tra alcuni bambini con meno 10 anni provenienti dalla Scozia. Nel giro di una settimana, poi, sono spuntati altri 61 casi tra Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, tra bimbi con un’età compresa tra 2 e 5 anni. Dopo anche in Danimarca, Paesi Bassi e Spagna. Fino ai primi casi sospetti in Italia, in queste ore arrivati a 7.
«I bimbi più gravi, meno del 10% del totale (in Inghilterra in circa 8 su 108), hanno avuto bisogno di un trapianto di fegato», spiega Giuseppe Indolfi, epatologo del Meyer di Firenze, consulente dell’OMS per le epatiti virali, responsabile dell’area fegato della Società europea di gastroenterologia. «Anche il bambino ricoverato nel nostro ospedale – spiega la dottoressa Basso del Bambino Gesù – è stato sottoposto a tutti gli accertamenti necessari per essere inserito nella liste trapianti, in via del tutto precauzionale». Il piccolo, infatti, era stato inizialmente ricoverato all’ospedale Santo Stefano e poi al Meyer di Firenze. Poi, è stato trasferito all’ospedale pediatrico della Santa sede proprio perché centro specializzato per i trapianti di fegato.
Tutti i casi, anche quelli che non hanno avuto la necessità di essere risolti con un trapianto di fegato, sono stati definiti “acuti”. «Queste forme sono dette acute poiché, generalmente, le epatiti possono verificarsi anche senza alcun segno o sintomo – spiega Indolfi -. I casi di cui si discute in questi giorni in tutta Europa, invece, sono sempre caratterizzati da particolari sintomi. In alcuni piccoli pazienti sono stati riscontrati livelli aumentati di enzimi epatici e ittero. In altri casi sono comparsi sintomi gastrointestinali come nausea, dolore addominale, diarrea e vomito. Altri ancora, hanno manifestato pure febbre e astenia».
Nonostante la varietà di sintomi, nessuno può essere considerato un vero e proprio allarme. «Finora – spiega la dottoressa Basso – non abbiamo rilevato alcun aumento preoccupante di casi di epatite acuta pediatrica di origine sconosciuta. Come, invece, è accaduto in Inghilterra». In altre parole, queste epatiti acute dalle cause ignote, anche molto gravi, si sono sempre verificate. A fare la differenza potrebbe essere un’eventuale più ampia diffusione. «Basti pensare che ogni anno, in Italia, circa 7-8 bambini subiscono un trapianto di fegato proprio a seguito di un’epatite – dice Indolfi -. Si tratta di quelle forme cosiddette “non A-non E”, cioè non ricomprese nelle forme più diffuse e meglio conosciute (appunto A, B, C, D ed E) e delle quali, ad oggi, non conosciamo le cause».
Tra le diverse teorie al vaglio degli esperti dell’Ukhsa (l’Agenzia per la sicurezza sanitaria) del Regno Unito si sta facendo strada l’ipotesi che possa trattarsi non dei classici virus che danno vita alle epatiti A, B e C. Ma di un adenovirus, spesso causa solo di banali raffreddori, che nei bambini può provocare problemi gastrointestinali. «Nell’80% dei casi esaminati in Inghilterra è stata accertata la presenza di adenovirus. Ma non ci sono ancora dati sufficienti e certi che possano mostrare la correlazione tra questo virus e le forme di epatite acute di cui stiamo discutendo», sottolinea Indolfi.
Nessun legame accertato nemmeno con il Covid-19. «Il piccolo di tre anni attualmente ricoverato al Bambino Gesù, stando alle analisi effettuate negli ospedali in cui è stato precedentemente ricoverato (nei laboratori del Bambino Gesù sono ancora in corso), non ha mai contratto il Covid-19. Sono da escludere anche correlazioni con i vaccini anti-Covid – aggiunge Basso – poiché i bambini colpiti da queste forme di epatiti sono tutti in età prescolare e, dunque, non vaccinati».
Per ora non c’è nessun allarme, ma l’attenzione resta alta. «In tutta Europa sono in corso delle indagini su larga scala per capire quanti casi di epatite acuta si siano verificati negli ultimi 4 mesi – dice Indolfi -. Solo se dovessimo scoprire che i casi gravi sono molti di più di quelli che di consueto si verificano in un lasso di tempo analogo, allora scatterebbe un vero allarme. Al momento la situazione è sotto controllo e – conclude l’epatologo – adeguatamente monitorata».
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