Il tema è stato al centro della conferenza stampa ‘Alleanza contro l’Epatite 2019’, promossa dalle società scientifiche Aisf e Simit con il patrocinio di EpaC Onlus
«Se i costi della terapia per l’epatite C passassero dal fondo per i farmaci innovativi a completo carico delle Regioni le stesse si troverebbero a sostenere ulteriori costi diretti, senza che si sia ancora investito a sufficienza per l’emersione del sommerso». È il professor Massimo Galli, presidente della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), a lanciare l’allarme in occasione della conferenza stampa ‘Alleanza contro l’Epatite 2019‘, promossa dalle società scientifiche Aisf (Associazione italiana per lo studio del Fegato) e Simit (Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali), con il patrocinio di EpaC Onlus.
L’evento è stato anche scenario della prima uscita pubblica di Pierpaolo Sileri nelle vesti di Vice Ministro alla Salute: «Noi medici conosciamo non solo i costi delle terapie, dei ricoveri e delle degenze, ma anche i costi indiretti. Quanto spende una famiglia per quel malato? Molteplici voci entrano nel computo dell’azienda Italia. Il tempo perso nel lavoro da parte del paziente, i sacrifici dei familiari e tanto altro. Per questo è importante migliorare gli screening e aumentare i trattamenti» ha affermato il Vice Ministro.
Il virus dell’epatite C (Hcv) è una delle principali cause di morbilità e mortalità correlate al fegato in tutto il mondo. Si stima che 71 milioni di persone siano affette da infezione cronica da virus dell’epatite C, di cui un numero significativo progredisce sino a giungere alla cirrosi o al cancro del fegato. In Italia sono stati avviati oltre 191mila trattamenti e nella stragrande maggioranza dei casi si sono conclusi con successo. Ma a preoccupare sono le circa 250mila persone che hanno contratto l’infezione e possono anche non saperlo.
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Negli ultimi tre anni, intanto, è profondamente mutato lo scenario della terapia delle malattie epatiche da virus C e, con la disponibilità dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta, oggi è possibile curare la maggior parte dei pazienti in poche settimane (con terapie che consentono la definitiva eliminazione del virus in circa il 97%
dei casi), a prescindere dallo stadio della malattia. Un grande risultato per la ricerca clinica, questo, che ora implicherebbe un nuovo modello qualora i costi della terapia ricadessero a completo carico delle Regioni.
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Ma un’altra ‘spina’ di politica sanitaria che allarma la comunità scientifica sull’epatite C è anche la ‘presunta’ equivalenza dei farmaci. «Ci si potrebbe infatti dover
confrontare con una possibile equivalenza dei farmaci in corso di valutazione da Aifa – ha proseguito Galli -. La disponibilità in Italia di tre diversi trattamenti farmacologici ha consentito in questi anni di scegliere e utilizzare lo schema terapeutico più adatto a ciascun paziente. L’eventuale affermazione di equivalenza tra le combinazioni farmacologiche pangenotipiche disponibili toglierebbe ai medici la discrezionalità necessaria per attuare la scelta terapeutica migliore per ciascun paziente».
Anche secondo il dottor Salvatore Petta, segretario di Aisf, in questo senso bisogna prestare «molta cautela», perché tali regimi contengono «principi attivi appartenenti a classi terapeutiche differenti – ha fatto sapere -, hanno profili di sicurezza diversi in alcune sottopopolazioni di pazienti e vengono somministrati con schemi terapeutici che differiscono per durata in funzione del genotipo virale di Hcv e della severità della malattia di fegato. Pertanto, l’applicazione in tale contesto clinico del principio di equivalenza, qualora approvata da Aifa, potrebbe inficiare quanto di eccellente fatto finora, con potenziale ricaduta negativa sia dal punto di vista clinico sia farmaco-economico».
Da parte delle istituzioni sembra però esserci «massimo impegno ad ascoltare le esigenze di clinici e pazienti», ha rassicurato infine Raffaele Mautone, componente della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato, per non perdere «un’occasione storica. Fino ad oggi abbiamo supportato gli sforzi della ricerca e l’implementazione delle nuove terapie, auspichiamo ora un prosieguo di questo percorso, sia per la salute dei singoli sia per la sanità pubblica».