L’eliminazione definitiva dell’infezione da HCV è oggi un obiettivo raggiungibile, fissato dell’OMS per l’Italia entro il 2030. Per arrivarci, però, serve allargare le fasce di popolazioni soggette allo screening per il virus dell’Epatite C.
È quanto sostiene la professoressa Loreta Kondili, gastroenterologa del Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità, che a Sanità Informazione spiega: «Lo screening per l’infezione dell’epatite C è l’unico strumento per raggiungere i target di eliminazione. In Italia è stato già avviato un progetto di screening sperimentale che focalizza l’attenzione nelle coorti di nascita tra il 1969 e il 1989 e soprattutto nelle popolazioni che definiamo “chiave”, con prevalenza più alta come quelle con i pazienti che utilizzano droghe e sono seguiti presso i Serd e anche nella popolazione carceraria. Purtroppo, la prevalenza dell’epatite C non si trova soltanto nelle popolazioni giovani: in Italia è stata stimata un’alta prevalenza del virus dell’epatite C anche nelle persone più anziane».
Dunque, per raggiungere l’eradicazione entro il 2030, secondo Kondili, bisogna implementare lo screening anche in quella nata dal 1944 al 1968. A beneficiare di questa misura potrebbe essere tutto il Servizio sanitario nazionale.
«Abbiamo presentato dati importanti che possono essere utilizzati anche da policy maker come evidenze per poter ampliare lo screening – spiega la professoressa dell’ISS -. Implementare uno screening rapido nelle popolazioni più anziane porterà a una riduzione degli eventi come cancro del fegato e cirrosi. Con gli screening entro 10 anni avremo 5mila casi in meno di epatocarcinoma e più di 5mila casi in meno di cirrosi del fegato. Grazie a questa riduzione degli eventi così importanti causati dal virus dell’epatite C, il Servizio sanitario potrà risparmiare oltre 65 milioni di euro in 10 anni».
Lo screening è importante perché il virus dell’Epatite C è silente: «Gli individui non sanno di avere il virus finché non si hanno danni avanzati al fegato e in quel caso anche la terapia è meno efficace. Se il virus viene diagnosticato prima si riducono le conseguenze sul fegato e per questo motivo anche i costi per la sanità».
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