La storia di una insegnante affetta dalla malattia da 14 anni. Grazie alle nuove cure in 12 settimane ha sconfitto il ‘mostro silenzioso’. «Si cade in crisi quando si sa di avere una malattia cronica e non esiste ancora la cura». Poi le nuove terapie l’hanno salvata: «Devo fare un controllo ogni 6 mesi con ecografie del fegato e analisi delle transaminasi, però la mia vita è cambiata completamente»
Ha la voce rotta dall’emozione Rossella Romani, insegnante, nel raccontare la sua vicenda. La sua è la storia di una persona che ce l’ha fatta, che è riuscita a sconfiggere il ‘mostro silenzioso’, l’epatite C, grazie alla terapia antivirale ad azione diretta (DAA) che ha rivoluzionato l’approccio al trattamento. Ma non è stata una passeggiata: all’inizio il crollo psicologico, la paura di contagiare gli altri, poi la luce dopo un incontro a Villa Maraini.
Oggi sconfiggere l’epatite C è possibile: le terapie con farmaci ad azione diretta anti-Hcv eliminano completamente il virus dell’epatite C in oltre il 96% dei pazienti trattati. Con oltre 180mila trattamenti l’Italia può vantare una delle più vaste esperienze in questo ambito. Il virus però è silente, si manifesta in modo subdolo e spesso solo dopo le analisi si diventa consapevoli del contagio. Si stima che 71 milioni di persone nel mondo siano affette da infezione cronica da virus dell’epatite C, di cui un numero significativo progredisce sino a giungere alla cirrosi o al cancro del fegato in assenza di un effettivo trattamento antivirale. Ma l’OMS conta di eradicare del tutto questa patologia nei prossimi anni.
Signora Romani, lei oggi si può dichiarare una ‘ex paziente di epatite C’. Ci può raccontare la sua esperienza? Quando ha scoperto di avere l’epatite C?
«Circa 14 anni fa ho scoperto di avere l’epatite C attraverso delle analisi casuali richieste dal mio medico di famiglia. Risultavano le transaminasi molto alte. Il mio medico ha presupposto un’epatite C. Mi ha fatto fare ulteriori analisi approfondite, ho fatto l’RNA quantitativo e risultavano delle analisi con valori molto elevati. Diagnosticata l’epatite C sono caduta in crisi, anche dal punto di vista psicologico perché veramente si cade in crisi quando si sa di avere una malattia cronica e non esiste ancora la cura. Dopo, pian piano per fortuna si è fatta questa grande scoperta. Io insegno, avevo il terrore di attaccarla agli alunni solamente con l’emissione delle goccioline di saliva o parlando con loro. Ero terrorizzata da questo contatto con i miei alunni. Un giorno o l’altro temevo l’arrivo di un genitore che mi dicesse: “Lei ha attaccato a mio figlio l’epatite C”, mi facevo dei film allucinanti. A casa ho cambiato le spazzole, i pettini, gli spazzolini per paura di attaccarla a mia figlia e di contagiare i miei familiari. Per fortuna nulla è accaduto. Un giorno una mia amica mi ha consigliato di andare a Villa Maraini perché c’era la giornata di prevenzione per l’epatite C. Io ero un po’ contraria, perché mi sono detta ‘Ce l’ho, che vado a fare?’. La mia amica mi ha spinto, sono andata lì e ho conosciuto la dottoressa Elisabetta Teti, di Tor Vergata, molto preparata e in gamba che mi ha salvato la vita perché mi ha proposto di fare questa cura. Io non conoscevo minimamente questo nuovo programma. Ho fatto la cura e in 12 settimane la mia malattia è stata debellata, ho eradicato il virus. Devo fare un controllo ogni 6 mesi con ecografie del fegato e analisi delle transaminasi, oltre a costanti contatti con la mia dottoressa. Però la mia vita è cambiata completamente».
Che consiglio si sente di dare a chi scopre oggi di avere l’epatite C?
«Innanzitutto di fare tutte le analisi perché io non sapevo minimamente, non ho mai capito dove potessi essermela attaccata. Forse mia madre aveva l’epatite C e l’ho curata fino in fondo senza guanti, forse ho avuto un contagio di sangue con lei. Non bisogna mollare perché la ricerca medica va avanti sempre e costantemente».
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