In occasione dell’evento “Epatite pediatrica: un incontro per capirne di più e lavorare insieme sulla prevenzione” della onlus Etica, massimi esperti italiani fanno il punto sull’emergenza in Italia e nel mondo
«La situazione sembra essersi stabilizzata a un livello base che non sembra destare preoccupazione». Queste le parole confortanti di Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, nel suo intervento di stamattina all’evento intitolato “Epatite pediatrica: un incontro per capirne di più e lavorare insieme sulla prevenzione”. Promotore dell’iniziativa è Etica, onlus che supporta e realizza progetti socialmente utili nella difesa dei diritti umani e civili, in particolare a favore dei bambini. In occasione dell’evento è stato lanciato un manifesto che tutti possono firmare su Change.org, nel quale si propone di affermare il valore della prevenzione e degli sforzi coordinati contro le nuove minacce sanitarie di natura internazionale.
«Al 21 giugno abbiamo avuto 75 segnalazioni: 8 di queste sono state escluse perché non aderivano per nulla ai criteri per la definizione di caso, in 33 casi la classificazione è stata sospesa e in 34 si tratta casi probabili», spiega Rezza. «Abbiamo solo casi probabili perché per confermarli dobbiamo trovare qualcosa che non sappiamo cosa sia, come un agente eziologico. Noi ci arriviamo per esclusione di altre forme di epatiti virali», aggiunge.
Dei 34 casi probabili in Italia, «troviamo diversi agenti eziologici che potrebbero o non potrebbero essere la causa di questa forma di epatite acuta. Nel 10,5 per cento dei casi come la casistica europea troviamo alla PCR il Sars-CoV-2. L‘adenovirus lo troviamo nel 43% dei casi, una percentuale piuttosto elevata ma al di sotto del 50%. Dopodiché questo adenovirus lo troviamo nelle feci nel 25% dei casi che non è specifico di un infezione che coinvolge il fegato».
«Siamo in contatto l’ECDC – continua Rezza – perché abbiamo sostanzialmente il dovere di inviare i dati ogni settimana che siano confrontabili con quelli di altri paesi europei. Si era riunita l’unità di crisi che ora si è spostata sul monkeypox. Le riunioni si sono susseguite per circa 3-4 settimane di seguito. Dopodiché la situazione sembra essersi stabilizzata». In Europa, invece, i casi sono in aumento. «A livello europeo – dice Rezza . sono stati segnalati circa 450 casi di questa nuova epatite di origine non conosciuta. Però la maggior parte dei casi è stata segnalata nel Regno Unito, dove sicuramente ci sono stati dei segnali di allerta: a fronte di 1, 2 o 3 trapianti nei bambini che si verificano ogni anno ad averne 10, direi che qualcosa evidentemente c’è e non si può ignorare».
«La buona notizia è che la maggior parte degli oltre 900 casi registrati nel mondo, guarisce da sola, in modo autonomo», dice Giuseppe Indolfi, pediatra ed epatologo dell’Azienda ospedaliero-universitaria Meyer, Università degli Studi di Firenze, membro del gruppo di lavoro sulle epatiti della Società Italiana di Pediatria, intervenuto all’evento di Etica. «I sintomi peculiari presentati dai bambini in pronto soccorso sono stati soprattutto gastrointestinali e respiratori, con una condizione giallastra ‘itterica’ della cute». Dopo aver specificato che la patologia, nella maggior parte dei casi, si risolve da sola, Indolfi aggiunge: «C’è poi 1 caso su 3 di questi bambini che presenta insufficienza epatica acuta e rischia di andare in terapia intensiva. Di questa percentuale, circa l’8 per cento ha avuto infine urgenza di un trapianto di fegato».
«Siamo di fronte a due scenari: sono stati riportati un numero di casi che non corrispondono ad un incremento reale oppure abbiamo davanti qualcosa di effettivamente nuovo, correlabile alla pandemia tramite l’adenovirus 41», dice Massimo Galli, già direttore del reparto malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, nel suo intervento -. Allo stato attuale dei fatti, possiamo fare solo delle ipotesi, come quella fatta da 3 ricercatori giapponesi di Kyoto che mettono in correlazione le epatiti pediatriche e Omicron». Galli cita anche uno studio che sarà pubblicata solo ai primi di luglio sulla rivista The Lancet, il quale ipotizza come la persistenza del Sars-CoV-2 nel tratto gastro-intestinale potrebbe aver determinato un rilascio di proteine attraverso l’epitelio intestinale comportando, a sua volta, un’attivazione immunomediata in ragione di un super-antigene.
Gli scienziati ipotizzano il ruolo di «un super-antigene simile all’enterotossina b dello stafilococco che può essere in grado di attivare, in modo esteso e non specifico, le cellule T», dice Galli. «Questo processo potrebbe essere considerato il meccanismo che scatena l’autodistruzione del fegato e dunque il manifestarsi delle epatiti pediatriche acute. Ma – continua – sono solo ipotesi. Piuttosto mi chiedo: perché non abbiamo il caso di una scolaresca che, insieme, ha avuto l’epatite? I dati a disposizione fanno pensare che in realtà non si sono verificate vere epidemie, facendo escludere la presenza di un virus ancora sconosciuto. Piuttosto, mi sorprende il fatto che ancora non si sia pensato a raccogliere e incrociare dati clinici del fegato provenienti dalle autopsie o dai fegati espiantati».
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