Il responsabile di Microbiologia del Bambino Gesù sulle epatiti virali acute nei bambini: «Lockdown e mascherine potrebbero aver scatenato un debito immunitario». Quali sono i sintomi da tenere d’occhio
L’adenovirus resta l’indiziato numero uno, ma si fa strada anche una possibile correlazione con il Sars-CoV-2. A ventiquattro giorni dall’allarme lanciato dal Regno Unito per un aumento degli episodi di epatiti virali acute tra i bambini, nessuna causa può essere ritenuta certa.
«In un’alta percentuale, tra i casi di epatiti virali acute pediatriche riscontrati in tutto il mondo, è stata accertata la presenza di adenovirus. Ma per associare con estrema certezza questo virus alle epatiti avremmo dovuto rilevarlo nel 100% dei casi. Per ora, l’adenovirus può essere considerato l’indiziato numero uno, ma non il colpevole», spiega il professore Carlo Federico Perno, responsabile di Microbiologia e Diagnostica di Immunologia dell’ospedale Bambino Gesù di Roma.
Inoltre, in queste ore, si fa sempre più probabile l’ipotesi che i colpevoli possano essere più di uno. «Molti dei bambini affetti da questa forma di epatite hanno, in precedenza, contratto anche il Covid-19 – sottolinea il microbiologo -. Anche in questo caso, l’associazione non è stata riscontrata nel 100% dei casi. Tuttavia, si tratta di un’incidenza sufficientemente elevata da spingerci ragionevolmente a supporre che questa forma di epatite virale acuta pediatrica possa rientrare in quelle manifestazioni generalmente associate al cosiddetto long Covid». Ne sono un esempio la sindrome di Kawasaki e la sindrome infiammatoria multisistemica (Mis-C) manifestatesi tra i bambini in questi due anni di pandemia e legate, sulla base di evidenze scientifiche, all’infezione da Sars-CoV-2.
Completamente da scartare, invece, un possibile legame con la vaccinazione contro l’infezione da Sars-CoV-2: «A nessuno dei bambini affetti da epatiti virali acute pediatriche è stato somministrato il vaccino anti-Covid», assicura il virologo. Molti dei piccoli coinvolti hanno meno di 5 anni e, quindi, al di sotto dell’età minima in cui è consentito inoculare tale vaccinazione. «Sono stati individuati casi di epatiti virali acute anche tra bambini più grandi, anch’essi non vaccinati. Questa forma di epatite è, generalmente, associata ad un’età pre-adolescenziale, ma tutti gli episodi attuali si sono verificati al di sotto dei 12 anni», aggiunge Perno.
Dalla pandemia potrebbe derivare anche un’ulteriore responsabilità. «I ripetuti lockdown, le restrizioni sociali, l’uso delle mascherine potrebbero aver scatenato un debito immunitario. I bambini, in situazioni di normalità, incontrano quotidianamente numerosi germi semplicemente respirando. Alcuni di questi li fanno ammalare, altri non manifestano alcuna sintomatologia. Ma, in entrambi i casi, contribuiscono al rafforzamento del sistema immunitario. In questi due anni di pandemia i bambini, tra la chiusura di scuole e attività ricreative e l’utilizzo delle mascherine (dai sei anni in su), l’esposizione a questi batteri si è drasticamente ridotta, inducendo un intorpidimento del sistema immunitario».
L’assenza di certezza sulle cause scatenanti spinge il mondo scientifico alla cautela: «L’attenzione è massima, ma non deve esserci allarmismo. In Italia la situazione resta sotto controllo e, almeno per ora, i casi accertati non sembrano aver superato quelli che si sono verificati durante gli anni scorsi. Questa tipologia di epatiti virali acute pediatriche (dalle cause ignote) si sono sempre verificate e, purtroppo, anche in passato, seppur raramente, con esiti talmente gravi da aver reso necessario un trapianto di fegato». Tra gli episodi riscontrai in Europa in quest’ultimo periodo meno del 10% dei bambini ha avuto bisogno di un trapianto d’organo. Al Bambino Gesù di Roma sono attualmente 4 i bambini ricoverati, tra cui il piccolo di Prato trasferito dal Meyer di Firenze all’ospedale della Santa Sede. «Gli altri tre sono arrivati nei giorni scorsi con sintomi gastrointestinali. Nessuno con febbre alta o ittero. Sono tutti in buone condizioni», assicura Perno.
Tuttavia, la sola comparsa di vomito e diarrea non dev’essere motivo di allarme. «Non dimentichiamo che esistono numerose forme virali che possono causare sintomi gastrointestinali che, di solito, scompaiono entro 24-48 ore. Nei casi di epatiti virali acute pediatriche questi sintomi si protraggono molto più a lungo. Di conseguenza, se vomito e diarrea dovessero durare oltre i 4-5 giorni e/o associarsi a febbre alta o ittero, sarà meglio recarsi in ospedale», consiglia lo specialista. Prudenza sì, panico no. «Invito tutti ad avere fiducia nella scienza. Siamo impegnati nella ricerca delle cause di queste epatiti da un meno di un mese, un tempo troppo breve per poter offrire certezze. Di certo e senza alcun dubbio, le evidenze raccolte finora confermano l’importanza della vaccinazione contro il Covid-19, vaccini che auspichiamo possano essere estesi anche alla fascia 0-5 anni, con una maggiore adesione – conclude – anche tra tutti quei bambini per cui la campagna vaccinale è già attiva da tempo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato