Seimila persone in quarantena e 27 morti. Sono questi, ad oggi, i tragici numeri dell’epidemia della Middle East Respiratory Syndrome che minaccia il mondo
Seimila persone in quarantena, 172 episodi di contagio, 27 morti. Sono questi, ad oggi, i tragici numeri dell’epidemia della Middle East Respiratory Syndrome (comunemente conosciuta come MERS) che nelle ultime settimane è diventata l’incubo degli abitanti della Corea del Sud e che non fa dormire sonni tranquilli neanche al resto del mondo. Perché se è vero che i casi sono stati registrati quasi tutti in una determinata area del mondo, spaventa sapere che si è già verificato il primo caso di decesso per MERS in Europa: si tratta di un 65enne tedesco di ritorno da una visita ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi.
La colpa di questa escalation è da attribuire quasi completamente all’impreparazione del personale sanitario sudcoreano. Perché mentre in Germania il caso è stato trattato con tutte le precauzioni del caso – compreso l’isolamento e relativi esami su 200 persone venute in contatto con il paziente poi deceduto –, in Corea del Sud tutto ciò non è stato fatto. È per questo che circa la metà di tutti i casi di contagio relativi a questo nuovo focolare si sono verificati in un unico ospedale: il Samsung Medical Centre di Seul. Le stesse autorità sudcoreane hanno dovuto ammettere che le pratiche messe in atto per affrontare le situazioni di contagio non sono state all’altezza e che «il 35 per cento delle infezioni abbia colpito familiari e amici che si sono recati in visita a pazienti o che li hanno accuditi negli ospedali».
A preoccupare il mondo è dunque la grande rapidità con cui sta attecchendo il virus. Negli ultimi mesi è stato infatti registrato un numero di contagi di gran lunga superiore alla media precedente. La MERS, una sindrome appartenente alla stessa famiglia della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), miete infatti vittime dal 2012, ovvero da quando è stato registrato il primo caso al mondo. Da allora, 426 decessi per un totale di 1.076 casi di infezione. Di questi circa una dozzina di episodi sono stati registrati anche nel nostro Paese, per fortuna senza conseguenze gravi. Per evitare però che la situazione precipitasse, in quell’occasione (parliamo di dicembre 2013) il Ministero della Salute diramò una circolare interna per chiedere «la massima sorveglianza delle malattie respiratorie acute e notificare tempestivamente all’Organizzazione Mondiale della Sanità eventuali nuovi casi di malattia». Nel 2014, poi, negli Stati Uniti sono stati registrati due casi di contagio. La Sindrome Respiratoria Acuta Mediorientale (la definizione italiana con cui viene generalmente indicata la MERS) rappresenta dunque un pericolo che non va preso sottogamba, considerato che, rispetto al suo “parente” più stretto (la SARS, che nel solo 2003 aveva causato circa mille decessi), è più letale e il suo tasso di mortalità supera il 35 per cento.
Un vaccino che possa prevenire e combattere il diffondersi di questa epidemia, al momento, non esiste. A meno che non si voglia dar credito all’Agenzia di Stato nordcoreana che ha annunciato in pompa magna di aver realizzato un farmaco miracoloso per curare non solo la MERS, ma anche altre piaghe mondiali come cancro, Aids ed Ebola. La notizia, manco a dirlo, è finita nella sezione “curiosità dal mondo” dei principali quotidiani mondiali. Ma su Ebola un aggiornamento interessante – e vero – è arrivato. È stato finalmente trovato, dopo mesi e mesi di studi e ricerche, il “paziente zero”: si tratta di un neonato, morso da un pipistrello in Guinea. È dunque da qui che ha avuto inizio l’incubo.