Dopo la decisione del TAR del Lazio spetta a Miur e Ministero della Salute avviare il percorso per il riconoscimento dei titoli. Il presidente dell’Associazione Nazionale Educatori Professionali continua la sua battaglia: «Abbiamo circa 35-40mila persone che esercitano questa posizione ma non possono entrare nell’Ordine perché non hanno un titolo abilitante, non possiamo più aspettare»
«Miur e Ministero della Salute hanno 60 giorni di tempo. Ci aspettiamo di essere sentiti: farò passare qualche altro giorno dopo di che sarò io a scrivere alla Direzione professioni sanitarie che Anep non permetterà che i tempi si allunghino ulteriormente». Nicola Titta, Presidente dell’Associazione Nazionale Educatori Professionali, è combattivo dopo la sentenza del TAR del Lazio che ha accolto il ricorso presentato per conto di ANEP imponendo al Ministero della Salute, al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ed alla Presidenza di Consiglio di avviare iniziative dirette a far sì che, come avvenuto per altre figure professionali dell’Area Sanitaria, si proceda all’individuazione dei criteri e delle modalità per il riconoscimento dell’equivalenza dei titoli conseguiti con il precedente ordinamento al diploma universitario di Educatore professionale.
«La sentenza chiarisce in modo chiaro chi è la responsabilità – continua Titta –. Il Ministero della Salute per tanti anni ha continuato a dire che la responsabilità, dato che i bandi sono su base regionale, è delle regioni che devono fare una proposta al Ministero. La sentenza, al contrario, stabilisce che la responsabilità è del Governo centrale che deve sentire le Regioni ma non deve aspettare il placet di queste. Noi ci auguriamo che questo avvenga molto velocemente».
La decisione del Tribunale amministrativo del Lazio può rappresentare una svolta importante anche per tutte le altre professioni sanitarie confluite nel maxi-Ordine TSRM-PSTRP.
«Il problema – spiega ancora il presidente Anep – è l’entrata in vigore della legge 3 del 2018: quindi dal luglio scorso tutti coloro che lavorano hanno l’obbligo di iscriversi all’Albo e all’Ordine e noi, facendo una stima, abbiamo circa 35-40mila posizioni scoperte, cioè di persone che esercitano questa posizione ma non possono entrare nell’Ordine perché non hanno un titolo abilitante».
Per gli educatori professionali un problema che riguarda soprattutto i laureati in Scienze dell’Educazione: «Chi ha svolto i corsi regionali è a posto. Le professioni si sono formate nel modo più disparato. Noi invece abbiamo l’enorme problema dei colleghi di Scienze dell’Educazione. Nonostante avessero la stessa denominazione nostra, educatore professionale, in realtà dal 1998 la laurea sanitaria in educazione professionale dava alle università la possibilità di fare un’unione tra facoltà, tra Medicina e chirurgia e Scienze dell’educazione, cosa che non hanno voluto fare né l’una né l’altra lasciando il vuoto totale. A questo si aggiungano le regioni che non hanno controllato i titoli per l’accesso ai concorsi pubblici e quindi tutti coloro che hanno vinto concorsi soprattutto negli anni ‘90 ma anche oggi. Alcune regioni non sanno neanche quali sono i titoli abilitanti per l’accesso alla professione e hanno lasciato servizi interi accreditati dal Servizio sanitario regionale e nazionale con decine di persone che non hanno i titoli abilitanti. Non si può scaricare sul lavoratore questa cosa: la responsabilità è della regione che avrebbe dovuto controllare prima i titoli».
Per gli Educatori professionali, dal 2011 ad oggi, non è mai stata fatta la ricognizione dei titoli pregressi, quindi molti di loro non sanno se possono continuare a lavorare o no.
«I colleghi delle altre professioni sanitarie – spiega ancora Titta – si sono congratulati perché è una vittoria che fa respirare. Questa è una garanzia anche per loro. Avere finalmente contezza che tutti gli operatori o almeno la stragrande maggioranza è riassumibile nel processo di equipollenza ed equivalenza vuol dire non avere il pericolo di persone che fanno indebitamente questo lavoro: persone che non hanno titolo, che non hanno la formazione per poter andare a ricoprire la professione. Se si lascia campo libero vuol dire che chiunque può continuare a fare l’educatore professionale senza doversi iscrivere all’Albo e all’Ordine. Noi abbiamo il grosso problema ad esempio in molte comunità anche con minori di psicologi, pedagogisti, assistenti sociali che fanno gli educatori professionali o regolamentiamo tutto o sennò chiunque può arrivare con un titolo riconosciuto come professione normata e accredita/abilitata e continuerebbe la storia».
«C’è anche il tema dell’elenco speciale – conclude Titta –. Anche in quella forma dev’essere garantita finalmente il controllo di chi esercita le professioni. Dobbiamo andare a chiudere e costringere le persone a entrare in un contesto in cui ci sono delle regole uguali per tutti. Chi sta fuori stavolta starà fuori…».