«Se il SSN finanziasse l’attività fisica dei pazienti cronici, risparmierebbe molti soldi». L’intervista a Deodato Assanelli, Presidente della Società Italiana di Medicina dello Sport e dell’Esercizio
«Per i pazienti che soffrono di determinate malattie croniche l’esercizio fisico è una medicina e in quanto tale deve essere prescritto dal medico». È quanto dichiarato a Sanità Informazione dal Professor Deodato Assanelli, Presidente della Società Italiana di Medicina dello Sport e dell’Esercizio (SIMSE) e coordinatore dell’incontro dedicato a ‘Diabete mellito, tipo 1 e tipo 2, sport ed esercizio fisico’ che si svolgerà il prossimo 25 novembre presso l’Università degli Studi di Brescia (consulta qui il programma).
Professore, quali sono gli obiettivi che il convegno intende raggiungere sul rapporto tra diabete ed esercizio fisico?
«Vogliamo innanzitutto far sapere che l’esercizio fisico è una medicina che va prescritta dal medico. Il focus dell’incontro sarà sul diabete e intendiamo proprio trasmettere l’idea che per un medico interfacciarsi con un paziente diabetico che intende fare sport o esercizio fisico è un po’ più complicato rispetto ad uno sportivo sano che il medico è più abituato a vedere. Ricordiamoci che i pazienti sani sono una cosa, e i pazienti malati un’altra, così come da un lato abbiamo lo sport e dall’altro l’esercizio fisico. Sono aspetti diversi che presuppongono competenze che vanno acquisite in modo differente. Altrimenti si pensa che chi si occupa di sportivi olimpici possa gestire anche degli ottantenni con tre malattie. Non è così. Quindi adesso la prossima sfida che dovremo affrontare e il convegno del 25 novembre sarà il primo passo in questo senso, è di fornire una formazione adeguata e professionale al maggior numero di medici possibile, in modo che sappiano come prescrivere l’esercizio fisico per certe tipologie di pazienti con malattie croniche. E, altro aspetto da non sottovalutare, è di cercare, nel tempo, di far rimborsare, almeno in parte, questi programmi al Servizio Sanitario Nazionale che, comunque, se incentiverà l’esercizio fisico per i pazienti cronici, potrà risparmiare e reinvestire molti soldi».
Qual è la situazione attuale in Italia per i pazienti con malattie croniche che vogliono fare sport o esercizio fisico?
«Per ora solo alcune Regioni hanno definito quali sono le palestre sicure, cioè riconosciute dalle Asl, che hanno un personale e altri requisiti adeguati per far fare attività fisica a queste tipologie di pazienti. Però sono poche e distribuite, nel nostro Paese, a macchia di leopardo. Non c’è un modello univoco né a livello regionale né tanto meno a livello nazionale. Si tratta di strutture che lavorano o con fondi di ricerca o sono nell’ambito di un progetto pilota della Regione, della Asl o di altri enti. Oppure sono remunerate in buona parte dai pazienti stessi. Non c’è un sistema, non c’è una rete per gestire in modo sistematico questa problematica. E parliamo di una problematica enorme, perché pensi che solo a Brescia l’associazione diabetici della provincia, molto attiva, ha 6.500 iscritti su 70mila diabetici accertati e altri 20mila che non sanno di averlo. Senza dimenticare tutti coloro con ridotta tolleranza glucidica, che sono quasi tutti i familiari di primo grado dei diabetici e sono quindi almeno altrettanti. Si immagini quale sarebbe il lavoro da fare e quanto si potrebbe risparmiare…».
Lei diceva che lo sport è una medicina; ma quanto ne sanno i medici italiani dello sport come medicina?
«Io insegno medicina dello sport e dell’esercizio in diversi corsi di laurea. Le ore previste per questa disciplina sono 24 a scienze motorie, 16 a fisioterapia, 12 a dietistica e 8 a medicina. Vuol dire che, in sei anni di corso di laurea, i futuri medici frequentano solo 8 ore di sport ed esercizio fisico. Corso che, tra l’altro, esiste solo da pochi anni, perché prima non si facevano nemmeno queste poche ore. I medici sanno sicuramente prescrivere i farmaci, conoscono bene tutta la parte chirurgica, ma non sanno quasi niente degli stili di vita. Ecco perché e lo ribadisco, è fondamentale puntare sulla formazione degli operatori sanitari anche in quest’ ambito, iniziando a formare quelli di domani, che opereranno e interagiranno in vari ambiti professionali, soprattutto in funzione delle competenze che hanno acquisito».