La presentazione del volume, organizzata dall’associazione Impresa per la Vita, è avvenuta nella clinica Santa Famiglia. Possemato: «Un libro che vuole aiutare a combattere le patologie dell’età evolutiva». Marrocco (Fi): «Proposta di legge per istituire psicologo scolastico»
Un libro che racconta, prima di tutto, una storia privata. Quella di un padre, Vincenzo Muccioli, e poi di una intera famiglia che comincia ad occuparsi del prossimo, quello messo peggio. Dei tossicodipendenti, negli anni ’70 una vera e propria piaga, per sé stessi, per le loro famiglie e per la società. “Fango e risate”, edito da Piemme, è il libro scritto dal figlio di Vincenzo, Andrea Muccioli. Un libro scritto con la volontà di raccontare la propria esperienza familiare e di comunità (quella di San Patrignano), anche per dare una “risposta” alla docuserie “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano”, rea, a dire dello stesso Muccioli, di aver dato un’immagine tutt’altro che corretta sia del padre che dell’intera vicenda. Si tratta però anche un libro che parla di persone fragili, che cercano nelle sostanze stupefacenti una risposta al proprio vuoto esistenziale. Un libro, dunque, che attraverso una memoria soggettiva vuole arrivare a parlare, a tutti, della vita e dei suoi problemi, dei suoi punti più bassi e del suo riscatto. Da un lato chi ha bisogno di essere salvato e trova un senso a tutto ciò che gli è capitato convivendo e lavorando con altre persone che vivono il suo stesso dramma, dall’altro chi trova un senso nell’aiutare chi è stato scaricato dalla società come un sacco vuoto e che da solo non ce la farebbe mai.
Andrea Muccioli racconta di come abbia scoperto a 12 anni che i suoi genitori «volevano aiutare, accogliendo in casa propria come dei figli, gli esseri umani più disperati», e di come questa «esperienza straordinaria e anche bizzarra» sia stata per lui «un qualcosa di doloroso e faticoso». Dover «accettare come fratelli e sorelle» perfetti sconosciuti, tra l’altro anche parecchio problematici, non è stato facile per lui. Ma con il tempo, quella che all’inizio era «un’esperienza dolorosa e faticosa» è poi diventata «esaltante, toccante, emotivamente molto profonda». Dopo un inizio difficile, dunque, «quelle persone sono state accettate come familiari».
La presentazione romana del volume, organizzata dall’associazione Impresa per la Vita, è avvenuta nella clinica Santa Famiglia. In particolare, nella sua chiesa. Un luogo scelto non a caso, in quanto, come ci dice la presidente di Impresa per la Vita, Donatella Possemato, «la clinica di cura Santa Famiglia è l’unica monospecialistica in ostetricia e ginecologia. Qui nascono bambini e, dunque, la vita. E in questa chiesa, che rappresenta tantissimo per noi, vengo battezzati tanti bambini. Per questo abbiamo voluto battezzare un libro che ha un profondo significato: quello di voler combattere le patologie dell’età evolutiva».
La storia raccontata nel libro risale, ovviamente, a qualche annetto fa. Ma i problemi con le dipendenze, inutile dirlo, non sono spariti all’improvviso anche se non hanno lo stesso risalto, anche mediatico, della “pandemia” da eroina degli anni ‘70. Forse anche perché oggi, di dipendenze, ne esistono tante, troppe per riuscire facilmente a costruire un fronte comune.
Tant’è che l’onorevole Patrizia Marrocco (Forza Italia), membro della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, ha annunciato di aver presentato una «proposta di legge per istituire lo psicologo scolastico». Perché se «esistono dipendenze vecchie e nuove», da un lato alcol e droga e dall’altro «patologie come bulimia e anoressia» che hanno avuto un incremento anche per colpa di internet, non si può pensare di combatterle una per una quando il danno è già fatto ma si può provare ad anticipare l’evolversi del problema, andando a cogliere i segnali scatenanti. «La nostra proposta – spiega ancora Marrocco – vuole andare a regolare una norma che esiste in tutti i Paesi europei ma non in Italia. Quel che noi vogliamo è l’istituzione di una figura stabile che faccia da collante tra alunni, docenti e famiglia, e che vada ad identificare subito un disagio e, perché no, anche un talento…».
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