L’Associazione medici cattolici italiani (Amci) è pronta in blocco, con tutti i suoi 4mila camici bianchi aderenti, a optare per l’obiezione di coscienza, qualora la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legalità del suicidio medicalmente assistito o concedesse altro tempo al Parlamento e questo dovesse legiferare aprendo alla pratica. «E non si tratta solo di un orientamento religioso che vieta di perseguire una simile pratica – precisa all’AdnKronos Salute il vicepresidente Amci Giuseppe Battimelli – ma di un fatto deontologico che riguarda tutti i medici, come affermato più volte dalla Federazione degli Ordini FNOMCeO che ha ribadito la sua contrarietà».
«Il codice deontologico e la prassi medica – ricorda Battimelli – non prevedono di favorire in qualsiasi caso la richiesta di morte del paziente, e questo non vuol dire che i malati gravi non debbano essere accompagnati nel fine vita attraverso le cure palliative e tutte le possibilità scientifiche, professionali e umane in nostro possesso. Si dà la giusta dignità senza nessun accanimento terapeutico».
Don Patriciello riflette sul tema delicato e controverso del fine vita partendo anche dalla sua esperienza personale: «Mi rendo conto che le sofferenze possano spingere una persona ammalata, magari in un momento di sconforto, a desiderare la morte, ma non posso accettare una legge che sancisca questa decisione estrema. Penso che, anche nei casi disperati, una soluzione positiva sia sempre possibile e lo dico per esperienza personale. Dieci anni fa, infatti, ero certo che sarei morto di leucemia, quando la malattia inspiegabilmente regredì. Oggi sto bene e lo devo, oltre che ai medici, all’aiuto divino. Insomma, non bisogna mai perdere la speranza e la forza di lottare contro il male. È questo il messaggio lasciato da Nadia».
Prevista per oggi pomeriggio la decisione dei giudici della Consulta sulla punibilità dell’aiuto al suicidio. I giudici dovranno pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 580 del Codice penale – che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere – sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo Cappato/Dj Fabo.