Il medico e deputato di Coraggio Italia Fabiola Bologna non nasconde le sue perplessità sulla legge in discussione alla Camera: «Come medico ho seguito tanti pazienti con patologie gravi e gravissime che mi hanno chiesto di vivere anche con la loro malattia in modo dignitoso»
Il fine vita non può essere una tematica da affrontare con toni da tifoserie. Ne è convinta Fabiola Bologna, medico e parlamentare di Coraggio Italia, che non ha mai fatto mistero delle sue riserve sul testo unificato sul fine vita su cui al momento stanno lavorando le commissioni congiunte Affari sociali e Giustizia della Camera e che presto approderà in Aula (la data del 25 ottobre, inizialmente ipotizzata, sembra destinata a slittare).
Secondo Bologna è prioritario dare piena attuazione alla legge 38 del 2010 sulle cure palliative, applicata ancora in modo non uniforme sul territorio italiano. I 70 emendamenti presentati da Coraggio Italia, dunque, puntano a delimitare i campi di applicazione della legge sul suicidio assistito: «Vogliamo intavolare una discussione che porti a riflettere e a considerare tutti gli aspetti senza alcuna superficialità» spiega la deputata che poi rilancia la necessità di introdurre l’obiezione di coscienza, come auspicato dalla FNOMCeo: «Occorre tutelare i medici e i sanitari quando vengono richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza».
«L’approccio giusto, a mio avviso, sarebbe quello di dare una comunicazione e una spiegazione corretta ai cittadini su un tema così serio e non ridurlo a poco più che uno slogan strumentalizzato per meri vantaggi elettorali o di parte: i cittadini, di fronte ad una tematica così importante che riguarda la vita e la morte, non dovrebbero essere considerati come meri “tifosi”. Sostenere il valore della vita è necessario per proteggere chi, versando in una condizione di debolezza fisica, psicologica, sociale, economica, potrebbe convincersi o essere convinto da terzi che la sua vita possa perdere valore. Pochi cittadini sanno che, in Italia, è in vigore la Legge 15 marzo 2010, n. 38, recante Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Tale normativa, per l’appunto, si occupa di cure palliative e della terapia del dolore per accompagnare, durante tutto il suo percorso, la persona malata e sofferente, prevedendo servizi riabilitativi, psicologici e di cura personale volti a restituire dignità alla persona e a sostenere la sua famiglia. La legge 38 non è mai stata attuata completamente e dovrebbe esserlo. Questo richiederebbe la responsabilità di uno Stato capace di sostenere non solo la persona fragile e malata ma anche la famiglia della stessa perché tutti si sentano parte di una rete di cura e di protezione, evitando di ricorrere a scelte estreme che nascondono disperazione e solitudine. Come medico, prima che parlamentare, in vent’anni di lavoro, ho seguito tanti pazienti con patologie gravi e gravissime che mi hanno chiesto di vivere anche con la loro malattia in modo dignitoso. Ho sempre cercato, insieme ai miei colleghi, di fare tutto il possibile affinché questo avvenisse, grazie alle nuove tecnologie e alla tanta umanità che deve accompagnare la cura di persone che affidano il loro corpo nelle mani di professionisti. Questo percorso attiene alla relazione medico – paziente, è nel cuore della deontologia della professione di medico e nessun testo di legge potrà comprenderne e cristallizzarne il valore».
«Credo che la discussione degli emendamenti sarà fondamentale per approfondire concretamente il tema e il testo sui contenuti: è necessario partire da un’armonizzazione con la Legge 15 marzo 2010, n. 38, che riguarda le cure palliative, percorso imprescindibile che deve essere attuato; inoltre, occorre precisare alcuni termini che vengono utilizzati nel testo per indicare la condizione del malato, posto che sono aleatori e concretamente non delineano lo stato clinico del malato. La terminologia dovrà essere rivista da un punto di vista medico-scientifico e giuridico e sarebbe opportuno approfondire tutto il capitolo delle condizioni di disagio, nel cui contesto, alcune decisioni possono essere concepite; da ultimo, tutta la procedura prevista è carente sia dal punto di vista della relazione medico-paziente, sia nell’approfondimento dei passaggi e dei tempi, fino all’obiezione di coscienza, elemento irrinunciabile della tematica. Per questo, come membro del gruppo Coraggio Italia, abbiamo presentato 70 emendamenti su cui vogliamo intavolare una discussione che porti a riflettere e a considerare tutti gli aspetti senza alcuna superficialità».
«L’obiezione di coscienza è assolutamente necessaria e sono molto meravigliata che non sia stata da subito introdotta nel Testo perché occorre tutelare i medici e i sanitari quando vengono richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza. Per tale motivazione, ho presentato uno specifico emendamento. Anche la Corte costituzionale reputa necessaria “la possibilità di una obiezione di coscienza del personale sanitario coinvolto”. Nell’emendamento che ho presentato sul tema prevedo, cito testualmente, che “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui alla presente legge ed agli interventi per la procedura di morte volontaria medicalmente assistita quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata alla ASL territorialmente competente e, nel caso di personale dipendente dell’ospedale pubblico, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita”».
«La proposta del Referendum, prevedendo l’abrogazione dell’art. 579 c.p., permetterebbe l’“omicidio del consenziente” e determinerebbe un vuoto normativo: l’art. 579 c.p., infatti, resterebbe in vigore solo per alcune ipotesi, cioè in caso di persona minore, persona inferma di mente, soggetto che abusa di sostanze alcooliche o stupefacenti, estorsione di consenso con violenza, minaccia o inganno. Quindi, è una proposta che va ben oltre la materia del c.d. “fine vita” e che sarebbe estesa ad ogni situazione, anche a condizioni di “abbandono”, come quelle di persone anziane prive di supporto e di sostegno del nucleo familiare o di depressione, in cui il soggetto è condizionato da idee di delirio, di persecuzione o di rovina e sofferenza per sé o per il nucleo familiare: in questi casi, anche con il consenso, si tratterebbe pur sempre di un omicidio! Non è ragionevole tentare di colmare un presunto vuoto normativo sul c.d. “fine vita” determinandone un altro! Benché il referendum sia uno strumento di democrazia diretta, ritengo che, per una tematica così delicata e trasversale, sia necessario essere chiari con i cittadini sulla differenza tra il tema in discussione in Parlamento e la proposta referendaria. La norma posta all’attenzione del Parlamento, su cui è intervenuta anche la Corte costituzionale, è l’art. 580 c.p., ossia l’istigazione o aiuto al suicidio che è ben diversa dall’art. 579 c.p. che, nonostante l’elemento del consenso, resta pur sempre un reato di omicidio. La Corte costituzionale, riconoscendo a più riprese la presenza del vuoto normativo ed esortando il legislatore ad intervenire sul c.d. “fine vita”, si è guardata bene dal dichiarare la totale incostituzionalità anche dell’art. 580 c.p., al fine di evitare un vuoto normativo che sarebbe certamente determinato qualora venisse meno una disposizione del Codice penale. Infatti, i giudici costituzionali hanno individuato una causa di non punibilità in riferimento all’art. 580 c.p. Si ritiene che la legge attualmente al vaglio parlamentare, unitamente agli emendamenti proposti, sia la base per intavolare una seria discussione sul c.d. “fine vita”, evitando, al contempo, di determinare vuoti normativi quando è in gioco la vita delle persone, senza ricorrere a soluzioni populiste e prive di fondamento scientifico e/o giuridico».
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