La paura del coronavirus ha aumentato la nostra sete di notizie. “Un’infodemia estrema” come definita dall’Oms. Molti si sono interrogati sul ruolo che scienziati ed esperti devono avere nel contrastare la disinformazione che ne deriva: si aiuta a capire, ma si rischia la propria credibilità?
L’infezione da Sars-CoV-2 ha raggiunto quota 500 mila decessi. La pandemia globale che dall’inizio di gennaio ha colpito tutto il mondo, si è stabilita al centro delle nostre vite dominando conversazioni e studi scientifici. Eppure risalgono solo a sabato scorso le ultime tre morti causate dalla disinformazione sul virus. In New Mexico sette persone hanno ingerito disinfettante per le mani contenente metanolo, chi non è deceduto versa in condizioni gravissime e uno ha già perso definitivamente la vista.
Vittime di una delle tante fake news sul coronavirus che si sono rivelate pericolose. Figlie a loro volta di quella “estrema infodemia” che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha declinato come una reazione umana quasi psicologica al virus. Quella spasmodica ricerca di nuove informazioni, scoperte e metodi per contrastare una malattia di cui sappiamo pochissimo e ancor meno possiamo dare per sicuro.
Ingerire disinfettante, trattenere il respiro per 20 secondi ogni ora, usare alcol e cocaina come preventivi, usare acqua salata per pulire le narici sono solo alcuni dei falsi rimedi a cui tanti utenti hanno creduto in questi mesi. In cui, secondo il Global Web Index, il 67% della popolazione mondiale ha incrementato la propria consultazione di notizie, specie online.
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La paura non viaggia alla stessa velocità della ricerca. Se la scienza non può soddisfarla, andrà a rivolgersi a teorie complottiste, leggende e notizie false che abbiano quell’attributo di sicurezza che manca altrimenti. Perché l’essere umano ha bisogno di una risposta a quell’angoscia – la paura di qualcosa che non si può combattere – di cui ha parlato lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel docufilm “Covid-19, il virus della paura”.
Prodotti come quello creato da Consulcesi vanno nella direzione che punta a combattere con la scienza le notizie false. Formando in primis il personale sanitario, ma realizzando un prodotto fruibile per tutti anche con l’aiuto di profili umani tipici della pandemia. Tra questi, nel docufilm, il complottista ha uno spazio tutto suo pieno di teorie incredibili e di sospetti. Giocano da controparte esperti e scienziati, che nella pellicola alle paure rispondono con la verità e il progresso dei ricercatori.
In un articolo della rivista “Nature”, a questo proposito, si discute proprio dell’importanza dell’intervento degli scienziati come debunker per le notizie sul virus. Per il data scientist Jevin West, dell’University of Washington di Seattle, è necessario che stiano in prima linea. «Contrastando la disinformazione su Covid-19 – suggerisce – possono aiutare i responsabili politici a evitare l’introduzione di politiche dannose, migliorare la comprensione pubblica della pandemia e, soprattutto, salvare vite».
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Non tutti i diffusori di fake news sono, infatti, inconsapevoli. Molti ne hanno approfittato per vendere trattamenti fasulli contro il virus, altri invece le hanno utilizzate per produrre contenuti virali e molto cliccati che portavano a siti pieni di ads pubblicitarie. Lo ha spiegato Giovanni Zagni, direttore di “Facta”, un sito nato lo scorso marzo per contrastare le bufale e che, per il 90%, si è occupato di sfatare false piste su Covid-19.
In Inghilterra lo Science Media Center, che mette in contatto scienziati e giornalisti, ha chiesto a tutti i suoi esperti di contribuire concretamente a combattere la disinformazione, rispondendo a quesiti di utenti e giornalisti, stroncando sul nascere qualsiasi notizia falsa anche fuori dal loro campo specifico di esperienza.
Anche in Italia gli esperti hanno fatto un passo avanti. I loro nomi negli ultimi sei mesi sono diventati sempre più familiari per il pubblico, contribuendo a diffondere un’immagine dell’esperto a disposizione del cittadino. Personaggi come Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma; Andrea Crisanti, professore di microbiologia all’Università di Padova; Massimo Andreoni, direttore del dipartimento di Medicina dei sistemi all’Università di Tor Vergata; Alberto Zangrillo, specialista in Anestesia e Rianimazione dell’ospedale S. Raffaele e Ilaria Capua, virologa e direttrice dell’One Health Center alla University of Florida.
Sono presenze comuni nelle notizie giornaliere, pronte a scongiurare informazioni imprecise. Anche se non sempre si trovano d’accordo, proprio perché le sicurezze che abbiamo sul Covid-19 sono ancora estremamente ridotte. Scontri di questo tipo sono stati accusati da parte dell’opinione pubblica di creare ulteriore confusione. Mentre tra gli addetti ai lavori si invitano i colleghi a fare attenzione ai propri interventi, per non rischiare di uscire da questa situazione con la credibilità rovinata.
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«In questo momento non ci si dovrebbe preoccupare di questo» secondo Zagni, in riferimento all’influenza professionale che questo ruolo può avere per gli scienziati. «Ora vite umane e fede nella scienza sono in pericolo e dobbiamo agire».
Un intervento che sembra ancora urgente, dopo mesi, a giudicare dai risultati di studi fatti in ogni parte del mondo. Nell’università canadese di Regina, una ricerca dello psicologo Gordon Pennycook ha coinvolto cittadini degli Usa nella lettura di vari titoli di articoli informativi sul virus. Metà erano veri, metà falsi ma chi era coinvolto non lo sapeva. Il 47% dei primi è stato ritenuto utile da condividere per gli utenti, così come il 43% dei falsi. C’è ancora troppa confusione per tirarsi indietro e anche nella battaglia per un’informazione corretta, i professionisti della sanità sono chiamati in prima linea.
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